In un futuro vicinissimo e non improbabile, Los Angeles ha subito il collasso strutturale - raccontato nel precedente cupissimo Città Oscura: in  questa megalopoli spettrale e sotto stato d’assedio si  muove il capitano Alan Jericho Wolf, chiamato ad indagare sui Brigadiers, una banda che assalta furgoni blindati con tecniche militari.  

Città di Ombre è un grandissimo action thriller, per vari motivi.

Innanzi tutto, la storia.

Alan D. Altieri è un grande narratore di storie: la trama si sviluppa a ritmo serrato, dai perfetti ritmi cinematografici, gli eventi in concatenano in soluzione di continuità ma con continue mutazioni prospettiche, e i personaggi che la abitano sono perfettamente credibili nel loro ruolo, anche quando sono brevi camei. L’abilità di Altieri è nel prendere classiche figure archetipe del thriller – il poliziotto duro ma giusto, gli ottusi militari, la donna sicario in tacchi alti e pelle nera e via dicendo – e smontarle, instillando il seme del dubbio: nessuno di loro è realmente ciò che appare e ciò che appare potrebbe non essere la verità.

In  maniera del tutto soggettiva e del tutto arbitraria ci verrebbe da associare Città di Ombre a due film abbastanza datati, Il Cavaliere pallido di Clint Eastwood ed Excalibur di Boorman.

Nel Cavaliere pallido un predicatore–pistolero cala come un angelo vendicatore in una cittadina mineraria dominata da un latifondista privo di scrupoli e dalla sua banda di sorveglianti: un film asciutto, crepuscolare, essenziale.

In  questo senso Città di Ombre è un grande western metropolitano: la struttura del romanzo è quella classica dello scontro tra un personaggio e il suo antagonista, ma come il Cavaliere pallido il capitano Alan Jericho Wolf  è un personaggio pieno di sfaccettature, complesso, i suoi metodi non sono diversi da quelli dei suoi antagonisti e in effetti il libro si snoda attraverso una serie impressionante di scontri a fuoco.

Eppure il meccanismo di identificazione scatta, perché ciò che fa agire Wolf è il desiderio di giustizia, la necessità di ristabilire non un ordine legale, bensì un ordine etico.

Alan Wolf è un ex militare perseguitato dai fantasmi: un insabbiato eccidio in Cambogia, il  rabbioso ricordo dell'adolescenza, la necessità di portare a termine un impegno assunto con un amico morto.  Sicuramente la sua è una personalità border line, oppressa da una visione radicalmente pessimistica della civiltà, eppure è un personaggio che mantiene un nucleo fondamentale di purezza, una radice profonda di giustizia.

Wolf  ricorda i cavalieri raccontati in Excalibur, dove l’eroismo è l’altra faccia della morte  e la violenza delle armi assume contorni epici, ma di un’epica priva di compiacimento. La violenza è la naturale vocazione di una civiltà in decadenza, il sangue è suo linguaggio: e – come nella realtà – la morte dà assuefazione.

Nessuna redenzione, nessuna via d’uscita, allora? Forse uno spiraglio, ma non c’è da contarci troppo.

Alan D. Altieri è un autore dalla scrittura essenziale, secca, i suoi personaggi parlano con uno slang aspro, non si dilungano nel racconto di personali crisi esistenziali (grazie Alan!), è l’azione che crea l’emozione: lo spazio dei “perché” viene lasciato ai lunghi brani in corsivo, dove la scrittura si fa più ampia, più compiuta. Nell’espediente letterario delle teorie dell’Arch. Shwartz si trovano inquietanti richiami all’attualità: se Città di Ombre potrebbe a prima vista apparire un thriller apocalittico proiettato in un futuro remoto, i riferimenti evidenti e puntuali al disastro della Exxon Valdez, agli scontri per la morte di Rodney King, alle bande metropolitane riconducono immediatamente a una realtà molto più vicina di quanto vorremmo sapere.

Città di Ombre è un ingranaggio che funziona molto bene.