Ho cominciato ad amare De Cataldo dalla lettura del suo straordinario Romanzo criminale, un’opera che definire semplicemente noir è riduttivo, per essere in realtà un romanzo politico, sociale, una radiografia impietosa del secondo Novecento italiano e, pertanto, anche, un romanzo storico e civile sulla linea della grande narrativa italiana. D’allora non ho più abbandonato questo autore, ritrovando echi di quel grande polittico in alcune delle sue opere successive, che potevano lasciar pensare a un “di cui” minore, ma all’insegna di una grande professionalità, capace di usare un linguaggio talmente congeniale all’ambiente e ai personaggi per lo più romani, da offrire ancora spaccati sociali, sfondi storici o di cronaca.
Poi, sulla stessa falsariga, una svolta nella prospettiva del più classico dei gialli, quelli di genere inglese, alla Agatha Christie, con un cadavere nelle prime pagine e il via alle appassionate indagini per scoprire il colpevole. Nasce così il personaggio di Manrico Spinori, un Pubblico Ministero, melomane, appartenente a una famiglia nobile decaduta e, perciò detto “il contino”, la cui vecchia dimora, dove il magistrato vive con la madre e il maggiordomo di lei, è stata ormai confiscata da una Fondazione per ripagare gli enormi debiti lasciati dalla donna, affetta da ludopatia e a cui comunque è stato lasciato l’usofrutto del palazzo. Sarà Spinori e il suo team di polizia giudiziaria, tutte donne, a seguire i casi che di volta in volta si presenteranno e che finora hanno dato vita a sei romanzi, l’ultimo dei quali “Un cadavere in cucina”, edito come tutti gli altri da Einaudi Stile Libero, conferma le doti narrative dell’autore, per altro, in questa serie arricchito dal suo pedigree di magistrato. Tanto da non far rimpiangere i romanzi antecedenti alla creazione del personaggio. Anzi, semmai, con Manrico Spinori il rischio di affezionarsi, romanzo dopo romanzo, è maggiore per quel fascino che la serialità suscita, come ha ben analizzato Umberto Eco nel suo Apocalittici e integrati, in quei lettori letteralmente stregati sia dal protagonista e affini, sia dai meccanismi che l’autore segue dando vita alle sue storie.
“Lo stesso romanzo giallo, che si sarebbe tentati di ascrivere tra i prodotti che soddisfano il gusto dell’imprevisto e del sensazionale” scrive Eco “di fatto, alla radice, viene consumato proprio per le ragioni opposte, come invito a ciò che è pacifico, scontato, famigliare, prevedibile”, portando l’esempio della fortuna del personaggio di Nero Wolfe, inventato da Rex Stout. È quanto capita con i gialli in cui ad agire è Manrico Spinori, con il suo amore per l’opera lirica, tanto da trovare nei grandi, drammatici quando non tragici, melodrammi, possibili raffronti con i casi sui quali, di volta in volta, indaga. Il personaggio diventa quasi un amico, uno di noi, ma non solo lui, capita anche con i personaggi che lo accompagnano. A casa il teatrino rappresentato da Donna Elena e i suoi sotterfugi e ricerche di complicità con il maggiordomo Camillo per ovviare al divieto del tavolo di gioco imposto dal figlio, in ufficio con le sue collaboratrici, la principale delle quali, la straordinaria ispettora Deborah Cianchetti, arriva direttamente da quei quartieri romani popolari efficacemente rappresentati in Romanzo criminale e affini, come Suburra o La svedese, da offrire con una nota di colore anche quel divertimento insito in letture del genere che fanno volare il tempo. Non è la sola, anche le altre tre collaboratrici, ciascuna con i suoi tic e problemi, entrano nella compagnia, così come il procuratore Gaspare Melchiorre o la bella e un po’ bizzarra medico legale che entra ed esce, a seconda dell’umore, dal letto e dalla vita di Manrico. E, poi, in quest’ultimo campo, c’è sempre una qualche nuova entrèe, tanto bella e affascinante, della quale prendere la cotta insieme al magistrato, il quale, pur col suo carattere riservato, è sempre alla ricerca di un amore. Nel caso de “Un cadavere in cucina” sarà niente meno che una splendida spia, una donna dei servizi segreti, con la quale si illuderà di dare il via a una relazione seria. In questo romanzo la conosce perché a una cena in un ristorante stellato un uomo dei servizi è stato ucciso da un procurato avvelenamento di funghi, seguito poi da un secondo cadavere ucciso dallo stesso piatto. L’uomo dei servizi era a tavola con un russo e la Cianchetti, a quella stessa tavola, ha scoperto che qualcuno ci aveva piazzato una cimice. Siamo alle prese con un intrigo nazionale? Ai lettori scoprirlo.
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