Il sorriso di Anthony Perkins è un romanzo che affascina e sorprende.

Eppure non vi è quasi nessuno degli elementi che costituiscono la peculiarità del noir classico: conosciamo l’assassino quando non è ancora un assassino, ma semplicemente un bambino che non è vittima di abusi sempre che non si consideri abuso un’esistenza semplicemente qualunque, non vi è caccia all’uomo perché gli omicidi non vengono nemmeno compresi come tali, non vi è sullo sfondo la cupa giungla d’asfalto metropolitana ma una realtà periferica normale, coi suoi cinema di quartiere, i campi sul limitare dell’abitato e la ferrovia. Apparentemente ordinaria, malinconicamente inquieta.

La storia racconta l’infanzia e l’adolescenza di bambini che diverranno adulti e dei quali uno – il più lunare, il più poetico, o forse no – diverrà un serial killer.

Il sorriso di Anthony Perkins è un romanzo di formazione: di un’infanzia, della vita dei protagonisti ma soprattutto è il romanzo di formazione di uno sguardo.

Ed è forse questa capacità di Claudia Salvatori di creare uno sguardo singolare sul mondo la caratteristica assolutamente catturante di questo romanzo: nelle cartoline dell’infanzia di Anthony e del suo inseparabile amico/alter ego e via via nelle esperienze di adolescenti e giovani adulti si costruisce per il lettore l’esperienza di uno sguardo obliquo, ironico, tenero e affilato come un rasoio.

Nel punto di vista dei due protagonisti si impara a cogliere il malessere sopito delle vite ordinarie, la ferocia delle maestrine incinte nascosta dai golfini chanel color pastello: è uno sguardo di profondità, che percorre inquietudini diverse o per lo meno diversamente rappresentate rispetto a ciò che ci si aspetta da questo tipo di narrativa. Se si volesse azzardare un paragone assolutamente arbitrario e puramente emozionale la scrittura della Salvatori può far venire in mente scrittrici quali O’Connor, Oates, Carter, Highsmith: scritture potentissime, capaci sempre però di spostare il punto di vista dall’ovvietà e di scavare nelle zone d’ombra delle relazioni umane, senza per questo perdere una pregevole capacità di tenerezza. Scritture che, tra l’altro, hanno il non indifferente pregio di rappresentare un punto di vista femminile non oppresso dalla retorica dei luoghi comuni, dalle maternità fagocitanti, dal sentimentalismo ricattatorio.

L’adozione di un punto di vista “maschile” nella narrazione libera il lettore dall’essere confinato nella riserva indiana della “scrittura al femminile”: la Salvatori è una scrittrice che attinge a un immaginario collettivo, tratta – e destabilizza – valori trasversali.

Il romanzo della Salvatori è un romanzo che fa spesso sorridere: vuoi per lo humour che percorre la narrazione, vuoi perché ci si sente diventare complici di quel sorriso “… impensabile. Improponibile. Scandaloso. Impossibile …. da esibire in un segmento qualsiasi di quelli che compongono la linea della vita, se non è una vita fuorilegge”.

La prima parte della storia ha un tono più leggero, fotografato dalle cartoline dell’infanzia dei protagonisti e intervallato dai fotogrammi di carosello e di vecchi film: l’entrata nel mondo adulto porta un’accelerazione nella narrazione, una sorta di urgenza fino all’epilogo che resta sospeso – appunto – come il sorriso di Anthony Perkins.

Claudia Salvatori, sceneggiatrice per cinema e fumetti, ha pubblicato fra l'altro i romanzi Schiavo e padrona (da cui il film Amorestremo), Superman non muore mai, La canzone di Iolanda, Sublime anima di donna (Tropea) e Ildegarda (Mondadori). Sempre per Alacràn è uscito il più recente La donna senza testa.