Alcuni palloncini rossi sorridenti e festosi hanno colorato il cielo di Udine durante la decima edizione del Far East Film, anche quest’anno ricco di appuntamenti e di novità. Per la prima volta, è stato dato spazio alle cinematografie vietnamita e indonesiana, rispettivamente con l’interessante The Rebel di Charlie Nguyen e il divertentissimo Quickie Express di Dimas Djayadiningrat. Come di consueto, Giappone, Corea del Sud e Hong Kong l’hanno fatta da padroni con più di sette film a testa, fra i quali segnaliamo i più recenti Johnnie To, Mad Detective e Sparrow, entrambi molto ben fatti, il bellissimo Mr Cinema di Samson Chiu e Shadows in the Palace di Kim Mee–jeung, non solo diretto e prodotto da donne ma anche incentrato sull’universo femminile coreano. Grande successo di pubblico ha avuto il giapponese Fine, Totally Fine, commedia agrodolce di Fujita Yosuke, mentre deludenti su tutti i fronti si sono rivelate due pellicole dirette da autentici “mostri sacri” d’Oriente, An Empress and the Warriors di Ching Siu–tung e Kaidan di Hideo Nakata, entrambi più interessati a creare blockbuster che delle opere veramente sentite; a Kelly Chen, nel ruolo dell’imperatrice citata nel titolo del primo film, potrebbe andare senza ombra di dubbio il premio come peggiore attrice del festival, anche se le sue controparti maschili Leon Lai e Donnie Yen non sono certo da meno. Molte, in generale, le commedie dolci–amare che hanno lasciato il segno, fra le quali spiccano l’intenso Handle Me with Care del thailandese Kongdej Jaturunrutsamee e il dolente Casket for Rent del filippino Neal Tan.

Palloncini in vista!
Palloncini in vista!
Un’autentica sorpresa è stato inoltre il film d’esordio come regista della pop star taiwanese Jay Chou, Secret, un mélo di ambientazione studentesca che scivola splendidamente verso la classica storia di fantasmi in maniera originale, anche se giudicata da alcuni irrazionale, ma d’altra parte come potrebbe la razionalità avere spazio in un universo popolato dai fantasmi?. Molto diversi fra loro i film provenienti dalla Mainland China, che spaziano dal pastiche postpunk-urbano-onirico-à la Fight Club del diseguale PK.COM.CN di Xiao Jiang al marziale The Assembly del veterano Feng Xiaogang (presente anche in veste di attore in uno degli episodi del bislacco Trivial Matters di Pang Ho-cheung, di certo autore di film migliori di quello presentato quest’anno), senza dimenticare l’anteprima mondiale del nuovo film di Zhang Yibai, Lost, Indulgence, con un’efficace Karen Mok (da non disdegnare nemmeno in Mr Cinema, dove spesso ruba la scena al pur bravissimo Ronald Cheng). Scarna rispetto alla nutrita personale su Patrick Tam dell’anno scorso la sezione della retrospettiva, riservata alla produzione anni ’50 del maestro coreano Shin Sang–ok e presentata per l’occasione dal direttore del Pudan Film Festival Kim Dong–ho. Si tratta di film per molti versi dall’intento didattico, volti a illustrare ai coreani i lati oscuri della società in cui vivono, soffermandosi in particolare sulla condizione della donna in A College Woman’s Confession e sul mondo della criminalità in A Flower in Hell, entrambi monopolizzati dalla presenza magnetica di Choi Eun–hee, attrice principale nonché moglie del regista.
giochi di colore nel foyer del teatro
giochi di colore nel foyer del teatro
Assolutamente di cattivo gusto, infine, il trailer scelto per l’anniversario del festival, a firma Pang Ho–cheung e tutto incentrato sul doppio senso della parola “grande” con un uomo intento a leccarsi il ginocchio sul water guardando una rivista con esplicite allusioni che risparmio ai lettori in questa sede, concetto ripetuto anche nelle magliette in vendita quest’anno, che dichiaravano come l’essere presenti al FEFF procurasse “satisfaction guaranteed”: francamente, vista la massiccia dose di volgarità già presente in tv, in Parlamento e nella vita di tutti i giorni, non c’era davvero bisogno di rincarare la dose in un festival che dovrebbe proporsi come luogo di cultura e di riflessione piuttosto che come un prodotto da vendere al popolino a suon di allusioni becere da osteria. Da popolare a pecoreccio il passo è breve, e l’esperimento stupidotto di Pang suscita il sospetto più che leggittimo che la cultura, ormai vittima  della barbarie dilagante del mondo in cui viviamo, preferisca soccombere alla banalità e alla volgarità piuttosto che reinventarsi con coraggio e vera innovazione.