La Sicilia è da sempre una terra che ha offerto grandi talenti per quanto riguarda la letteratura ed è un piacere scoprire che, dopo i grandi Verga, Pirandello, Sciascia e i più moderni Camilleri, Piazzese e Di Cara, si fa avanti una nuova generazione di autori. Un rappresentante di questa schiera è, senza dubbio, Rosario Palazzolo, l'ospite del nostro salotto letterario virtuale, alla sua prima volta editoriale con il romanzo L'Ammazzatore (libri/5920).

Per prima cosa, Rosario, grazie di aver accettato questa intervista e, sai, ti confesso che faccio un po' fatica a cominciarla perché il tuo romanzo, anche se racchiuso in poco più di cento pagine, va dritto al punto, racchiudendo tanti spunti di riflessione e tante tematiche.

grazie a te per avermela proposta. lo dico subito: in quanto a difficoltà, siamo pari, ma da un punto dobbiamo pur cominciare.

Cominciamo, allora, da una cosa facile. Io, nella recensione, per comodità ho definito il tuo romanzo come noir. Tu, invece, come lo definiresti?

un breviario sull'impossibilità di una scelta.

Una definizione forte e puntuale, ma da dove viene L'Ammazzatore?

da palermo, da certi occhi che ho visto, occhi esperti che non conoscono nulla, occhi spalancati all'ineluttabilità degli eventi, occhi che si muovono e che scattano per un nonnulla, occhi sempre all'erta, occhi comunque timidi e incerti, occhi esitanti che si dischiudono, per poi riaprirsi, per poi richiudersi. e gli occhi sono solo una parte del resto.

Leggendo il tuo romanzo mi sono accorta di alcune scelte molto personali, originali e marcate. Nelle pagine del tuo libro si trovano infatti racchiusi una storia forte, uno stile trasgressivo, che è l'aspetto più originale, mentre manca forse la codificazione in un genere preciso, che avrebbe, in qualche modo attirato una certa fascia di pubblico. Scelte azzardate per un esordiente: hai avuto il coraggio di osare?

credo di no, sono stato furbo anzi, ho raccontato solo ciò che conosco, ciò che vivo da sempre, perchè chi nasce a palermo riceve in dono un marchio sgraziato, un marchio che se ne sta tranquillo a organizzarti la vita, un marchio multistrato che si porta dietro tanti altri marchi piccoli grandi e grandissimi: il marchio del disonore, quello dell'accondiscendenza, il marchio dell'essenzialità delle cose, il marchio dell'innocenza (che è pure quello della corruttibilità in potenza), il marchio che è soltanto marchio (che non serve proprio a niente, e si traveste di buonsenso, se è il caso), e un ultimo marchio che s’impegna solo nel disegno, che bada più alla forma che alla sostanza, cioè. in mezzo a tutti questi marchi, piccoli grandi e grandissimi, io ho scovato quello che occorreva all'ammazzatore: il marchio dell'impossibilità di una scelta. ma palermo non possiede l'esclusiva dei marchi, è solo il contesto che ho scelto, di marchi ne esistono per ogni luogo e in fondo si somigliano tutti.

E il tuo marchio qual è?

quello dello sproloquio, il più inutile di tutti.

Il tema dell'impossibilità di una scelta è il nucleo portante di tutta la vicenda. Il protagonista, infatti, è un uomo che non è in condizioni di fare alcuna scelta libera, perché costretto in una gabbia fatta da aspettative altrui. Un protagonista che, onestamente, forse con la mia mentalità da milanese quale sono, ho percepito un po' anche come uno sfigato, un fallito.

è una vittima, uno che non può permettersi di dire a, di fare a, di pensare a, senza che qualcun altro non lo abbia deciso, uno che annaspa dentro al proprio pantano e gli è impossibile nuotare altrove, un impacciato, è un signore pignolo che si sforza di far quadrare i rettangoli, è un uomo solo che chiede ai santi ciò che gli uomini gli hanno sottaciuto, è un uomo senza moralità, è una soluzione senza svolgimento, è un cane pazzo, è il prototipo dell'uomo medio.

Bè, in realtà, vista la sua professione mi auguro che non rappresenti esattamente l'uomo medio…

è un uomo codificato, un uomo al quale basta vedere il vedibile. il fatto che svolga il lavoro di ammazzatore è soltanto un'aggravante, rimarrebbe codificato anche se facesse il ragioniere (e i ragionieri non sono da meno, in quanto a pericolosità).

La svolta nella vicenda arriva nel momento in cui il protagonista incontra una donna e decide di voler vivere con lei, venendo meno a quelli che sono i propri doveri. Questa donna, che a tutti gli effetti è la spalla, la co-protagonsita, è però solo accennata, appena delineata.

e così doveva essere, come accennati sono tutti gli altri personaggi di cui parla l'ammazzatore, sono delle figurine, e sono delle figurine perché l'ammazzatore è un egoista, nella storia che racconta non c'è spazio per nessuno, è sempre lui l'attore massimo, e quando subisce qualche sopruso non si preoccupa minimamente di delineare i personaggi che l'hanno determinato, ma solo il proprio malessere, solo le proprie sensazioni. d'altronde, all'ammazzatore importa poco della donna in questione, per lui è molto più importante l'aver scoperto che è possibile una via di fuga, una scappatoia che sa tanto di normalità.

"Certuni coi baffi dicono che da ammazzatore ad assassino il passo è breve…" è una frase che sottintende una differenza fondamentale tra le due categorie: ce la spieghi?

è una differenza sostanziale, l'assassino sa perché uccide, il motivo e certe volte la causa del suo gesto, conosce il perché e il percome, s'impegna moralmente, risponde a quel sentimento bestiale pervaso di egoismo e presunzione per il quale l'uomo diventa nemico, il nemico una vittima. l'ammazzatore invece semplicemente esegue, non prova alcun sentimento nei confronti dell'ammazzato, se non quello del fastidio, il fastidio di un lavoro che deve essere eseguito, il fastidio di arrivare al posto tale all'ora tale, il fastidio di un compito da svolgere così come il qualcun altro di turno ha decretato, il fastidio di non essere determinante.

Parliamo per un attimo, adesso, di quello che secondo me è l'aspetto più interessante del tuo libro: lo stile. Uno stile che va contro le regole, che caratterizza il personaggio, in cui la punteggiatura e le maiuscole sono usate in maniera particolare e originale.

lo stile è strettamente legato al personaggio, ernesto scossa è nato e cresciuto a palermo, e di palermo, tra le altre cose, racconta la forte musicalità linguistica, il tono colloquiale, gli strafalcioni grammaticali e il fiato sincopato che nasce da una meditazione furente e disattenta, ruggente, quel senso di vuoto a perdere che scaturisce da qualsiasi gesto compiuto o da compiere, una certa malizia ingenua, primordiale, ma che però mostra degli artigli affilatissimi e pronti a colpire, a segnare, a togliere di mezzo. e per questo, mi serviva una voce personale e forte, spigolosa, una voce pregna di "palermitanismi", effettata fino all'inverosimile ma vera, carnale, che sputasse fuori i segni più tangibili di una cultura che sa essere smargiassa e triviale, ma anche poetica e intima, una lingua da battistrada capace di elevarsi all'occorrenza.

Da lettrice ho percepito lo stile come vivo e adatto alla storia, da umanista quale sono però mi chiedo: qual è la linea di demarcazione tra la scelta stilistica e l'errore grammaticale? Per fare un esempio cosa dà di più al tuo stile il mancato utilizzo delle maiuscole?

ernesto scossa vive il mondo da essere minuscolo, non gli è stata data alcuna possibilità di elevarsi, di migliorarsi, è rimasto tale e quale a mille altri prima di lui, e lo sarà a mille altri dopo, questo gli ha provocato un'idiosincrasia nei confronti delle cose maiuscole, ernesto, poi, compie gesti minimi, leggeri, persino quando ammazza è attento alle sottigliezze, si figura le cose partendo dai più piccoli dettagli, è un minimo con un amore per il minimo, vive una sorta di catarsi delle forme, tutto ciò che è grande lo infastidisce perché rappresenta l'essenza della sua inadeguatezza, ne è la dimostrazione algebrica. la scelta di scrivere in minuscolo, pertanto, scaturisce essenzialmente da ernesto, è lui a pensare in minuscolo, io ho soltanto trascritto (a tal proposito, l'idea geniale di minuscolare anche questa intervista è soltanto tua, chiara, qui pure mi sono limitato a trascrivere).

Bè, più che altro hai raccolto una sfida!

non amo troppo le sfide, perché sanno di contesa, amo piuttosto le gare, che hanno un tono più pacifico (mi ricordano quelle di bocce, tra pensionati, all'aria aperta).

Legata allo stile è nata in me anche una riflessione sulla lettura fatta. Mi sono accorta, infatti, che il lettore, in un certo senso, conosce già tutto, la storia non gli racconta qualcosa di nuovo, ma tu autore crei la tensione narrativa proprio con la modalità del racconto, verso un colpo di scena finale. E' una mia sensazione o è vero?

il lettore sa tutto perché, in realtà, non c'è niente da sapere, non c'è un ordito da districare, anzi è la storia dell'impossibilità di un ordito, della sua inconcepibile rappresentazione. non è neanche una storia di mafia (la parola mafia non compare nemmeno una volta), è invece la storia dell'annullamento di una individualità, ed è stato essenzialmente questo che mi ha stimolato a scrivere il libro, volevo raccontare qualcosa che esplicasse senza dimostrare, che dicesse ciò che è sotto gli occhi di tutti, ciò che è sotto gli occhi di tutti ma che non tutti riescono a vedere, una sorta di storia per "non" vedenti, e il contesto (quello che sa tanto di mafia) è stato per me solo un pretesto, insomma, è la storia di un cane che si morde la coda, un cane che alla fine si rende conto di non aver mai avuto una coda.

Hai citato ora la mafia, che, come dici tu, serpeggia e impregna le pagine de L'Ammazzatore, senza essere mai esplicita. E' però una specie di rumore di fondo, di realtà quasi così evidente che non serve che sia nominata. O almeno questa è la mia sensazione.

è un potere che incidentalmente fa rumore di mafia, ma è soprattutto un potere. visto che sei così gentile da concedermi questa opportunità, vorrei suggerire, all'ipotetico lettore, di soffermarsi soprattutto sul concetto di potere, tralasciando la sua determinazione mafiosa.

Ma secondo te è possibile, sull'esempio di Saviano con il suo Gomorra, combattere la criminalità organizzata anche con la letteratura?

penso che si possa combattere "solo" con la letteratura, e non unicamente la mafia, ma tutti quegli altri poteri (più pericolosi secondo me, perché più subdoli) che dettano leggi fasulle e imbecilli, e che usano la forza (e non solo quella fisica) per farle rispettare. la letteratura ha il vigore di dire senza aggredire (e quando aggredisce lo fa con un certo garbo), e poi un libro puoi leggerlo, non leggerlo, strapparlo, tirarlo in testa a qualcuno, puoi usarlo per livellare, per orpellare, per gongolare, puoi arrivare pesino a riflettere, è un oggetto che ha molto a che fare con la libertà.

Parliamo ora della tua esperienza. Tu sei un uomo di teatro: regista, attore, direttore di compagnia. Lavori con La compagnia del Tratto, scrivi testi teatrali, insegni drammaturgia nelle scuole. Che rapporto c'è tra scrittura e teatro? Come si influenzano nella tua vita, se ciò accade?

in verità io scrivo soprattutto per il teatro, e quando, come in questo caso, mi va di svirgolare nell'ambito narrativo, mi capita di barare, di costruire un personaggio che è già pronto per la scena, mi capita di immaginargli una faccia, di costringergli una voce, di stabilirgli quali abiti indossare, e da quale armadio. ultimamente però, è successo il contrario, il romanzo a cui sto lavorando difatti è tratto dal mio ultimo testo teatrale (ouminicch'), è un romanzo ancora intriso di palermitanità, conto di finirlo nel 2008. e sarà in terza persona, un romanzo per davvero, il mio debutto narrativo.

Quindi in realtà c'è una sorta di rapporto di osmosi tra i due mondi?

osmosi è dire poco, in realtà sono malato.

Se i risultati sono questi, permettimi, spero che tu sia malato gravemente.

da certe malattie si guarisce, purtroppo, ma io ce la metto tutta e cerco di evitare le maglie di lana.

E L'Ammazzatore diventerà anche una rappresentazione teatrale?

sì, diventerà un testo teatrale, per dirla tutta lo è già diventato a suo tempo (poco dopo la stesura del romanzo) e debutterà a fine 2008 con una importante coproduzione, sui modi e gli snodi però vige il massimo riserbo.

Come sei arrivato alla pubblicazione?

vincendo lama e trama direi, il concorso di racconti noir presieduto da luigi bernardi che si svolge ogni anno a maniago, mi pare sia iniziato tutto da lì.

A quell'epoca L'Ammazzatore viveva già nel "famoso" cassetto?

no, all'epoca se la spassava liberamente, dentro alla mia testa. qualche tempo dopo, quando luigi bernardi mi ha proposto di scrivere qualcosa di breve per una nuova collana che si apprestava a dirigere, m'è toccato stanarlo.

E sei soddisfatto?

molto soddisfatto, ho trovato un editore coraggioso e un direttore di collana (ancora l'egregio luigi bernardi) che è stato il vero artefice di questo lavoro.

Qual è il rapporto con Luigi Bernardi, un punto di riferimento per la letteratura di genere in Italia?

è un maestro, un amico, un uomo di rara intelligenza, e, non per ultimo, un complice di avventure teatrali, lo dimostra lo spettacolo che in questi giorni debutterà a palermo, al teatro libero, s'intitola i tempi stanno per cambiare (www.teatroliberopalermo.it/tempi.htm). è un testo che abbiamo scritto insieme nel 2007 e che ha visto il suo debutto alla regia (come vedi, gli ho ricambiato il favore). poi, siccome ci abbiamo provato gusto, la cosa potrebbe ripetersi.

E' importante, per chi vuole pubblicare, avere accanto un maestro che lo affianchi?

meglio se ti sta un tantino sopra, o sotto, o dove più gli aggrada, l'importante che non ti stia accanto, potresti non poter più fare a meno di un maestro, e lui di un allievo.

A questo punto mi è sembrato naturale chiedere anche a Luigi Bernardi, curatore di collana un parere in merito a L'Ammazzatore. Perchè, Luigi, hai deciso di investire e credere in quest'opera? E perchè secondo te andrebbe letta?

Perché si regge su una scrittura articolata, che non si siede a raccontare, ma si muove insieme al racconto, restituendone volta per volta le dinamiche, dall'interno e in presa diretta. Va letta perché è uno dei più convincenti testi brevi prodotti dalla narrativa italiana degli ultimi anni.

E, incvece, secondo te, Rosario, perché comprare e leggere L'Ammazzatore?

per la copertina, che è di onofrio catacchio.

Infine, visto che abbiamo cominciato citando i grandi della letteratura siciliana, mi piacerebbe chiudere questa intervista con una specie di gioco. Che cosa direbbe de L'Ammazzatore Giovanni Verga, secondo te?

che il mondo è davvero peggiorato.

E Luigi Pirandello?

che il mondo è peggiorato davvero.

E Leonardo Sciascia?

che il mondo… (ma si fermerebbe di colpo, pensando, non a torto, che ci sarebbe ben poco da aggiungere).

E cosa direbbe Ernesto Scossa di questa intervista?

senti patrepì, ma tu per caso che conosci a questa chiara bertazzoni? se la conosci o se magari ti capita che ne senti parlare o se magari ti puoi informare con qualcuno che la conosce, me lo vuoi dire dove caspita se le tiene 'ste domande? perché io, secondo me, credo che farci le domande alle persone è una cosa difficilissima, che magari ti pare che quella cosa che chiedi è una cosa intelligente, e poi ti accorgi che ti esce una minchiata precisa, io, che siccome sono sicuro che mi uscirebbe, e allora non chiedo mai niente a nessuno, mi tengo chiuso, tanto che per esempio pure quando non so una strada, che mettiamo mi trovo in una città che non conosco e non la so, e che mettiamo c'è un signore fermo e immobile che non si aspetta altro che io gli chiedo l'informazione, io, passo avanti, non gli dico manco a, e la strada me la cerco.