Torna Josè Cavalcanti, l’investigatore privato, argentino di origine italiana, che ha molto del picaresco, creato dalla penna di Gianluca Campagna. Il primo romanzo della serie è stato “Il profumo dell’ultimo tango”, che ha conosciuto anche una edizione in Argentina per i tipi dell’editore Gogol. Ora siamo arrivati alla sua quarta avventura con il romanzo “Il giardino dei nani solitari”, edito da Arkadia.

Stavolta non siamo in Argentina, ma in pieno Mediterraneo, prima a Ceuta, un’enclave spagnola che ha alle spalle il Sahara Occidentale dilaniato dalle guerre di indipendenza, dove arrivano, proprio per fuggire a quelle guerre, due bambini di etnia saharawi: un maschietto Mohamed, di 7 anni, e una femminuccia Latifa, di 13. Fratelli arrivati a Ceuta con l’intenzione di raggiungere i genitori che vivono a Roma.

Raccolti da un prete, don Alonso, che ha in cura loro, così come altri bambini che rischiano di essere rimpatriati, ha nell’inquieto Cavalcanti un’anima da salvare. Il quale, frequentandolo, si rivela ben presto un’ancora per i due profughi, tanto da spingerli a chiedere allo stesso Cavalcanti, così fuori le righe, di portarli a Roma. Cavalcanti è tentato dal non farlo: in preda all’ennesima delusione d’amore, che cerca inutilmente di vincere, trova ben presto nella insistita richiesta dei due bambini un destino di riparazione, quello che per una vita lo ha messo a confronto con il proprio padre che ha finito per odiare. Una sorta di vuoto nella sua esistenza, da diventare “talmente torbido e liquido che a breve lui stesso ci sarebbe annegato. Era un irrisolto come amante, come figlio, come uomo. Era irrisolto come essere umano”. Decide così di prendersi cura dei bambini e di portarli a Roma. “E sia, pagherò pegno” si dice, dando avvio all’avventura.

Pertanto, si offre di accompagnare Mohamed e Latifa, ma lo può fare con i propri mezzi, che è uno solo: il mitico sidecar conosciuto nelle precedenti avventure. Questa volta però non ha con sé i suoi due doghi argentini, ma una scimmietta, di quelle che impazzano a Gibilterra per lo spasso dei tanti turisti. Una di queste aveva preso a giocare con i due bambini, tanto da non riuscire a liberarsene. L’unica è darle un nome, che sarà Suamaestà, e partire anche con lei.

C’è però un problema che rende tutto più complicato: siamo nel 2020, all’inizio dello scoppio della pandemia di Covid, che sta spingendo i vari governi a chiudere le frontiere. E i nostri, se voglio arrivare a Roma per tempo e non essere bloccati, devono fare in fretta. È l’escamotage narrativo che contribuirà ad aumentare la tensione del viaggio finché questo prosegue. 

Intanto, le prime difficoltà le incontreranno già all’inizio del viaggio con la Guardia Civil al confine che ha difficoltà ad accettare quell’insolita comitiva: un avventuriero con due bambini e una scimmietta, a bordo di un sidecar, per altro con un orsacchiotto di peluche appiccicato sul manubrio. Ma alla fine ce la fanno. Ed ecco Malaga, Alicante, Valencia, Barcellona… la penna ricca di Gianluca Campagna da prova qui di descrizioni e passaggi non privi di colore, finché, proprio a Barcellona si unisce a loro una nuova compagna di viaggio, la bellissima e disinibita, assai poco vestita: l’italiana Monica, “una pornodiva mediterranea” la dipingerà tra sé Cavalcanti, che ne resta ovviamente ammaliato, anche perché la donna sa il fatto suo, non solo di sesso, ma di ottima guida, in grado di scegliere la strada migliore per arrivare a destinazione in tempi brevi. E qui lasciamo il campo al lettore, a cui ci guardiamo bene nello svelare i risvolti di un’avventura che, in altre forme, riprende l’amore dell’autore di Latina, inquieto di suo, per le storie on the road. Non solo nei romanzi con Josè Cavalcanti, ma anche di altri protagonisti, come nel caso del precedente romanzo, uscito solo lo scorso anno con Mursia, dal titolo “In viaggio con la morte”. Pochi scrittori italiani come Gianluca Campagna sanno tenere avvinto il lettore accompagnandolo – come ha fatto Cavalcanti con Mohamed e Latifa – in viaggi di perdizione e ritrovamento di sé. Sempre però nell’ambito del più scorretto divertimento.