Qualcuno si starà stropicciando gli occhi.

Ma questa non è l’“Altro noir”, rubrica esplicitamente vietata alla narrativa anglosassone e francese?

E il fascino dell’ “altro noir” non sta appunto nello scarto, sia nei contenuti sia, spesso, nella qualità letteraria, tra la produzione industriale di cui sopra e quella splendidamente artigianale del resto del mondo?

Sì, ma talvolta può far bene fermarsi un attimo a rileggere qualche autore di bestseller onusto di dollari e di gloria (in questo caso Robin Cook, 67 anni e una trentina di romanzi al suo attivo); a ripercorrere i sentieri di qualche glorioso sottogenere (qui il “medical thriller” di cui Cook è forse il progenitore col successo internazionale di Coma, 1977, bissato dal film Coma profondo); a cercare insomma quell’ineffabile “quid” che ha spinto milioni di lettori ad appassionarsi a una storia come Epidemia.

Innanzi tutto gli ingredienti.

Jack Stapleton: un medico legale dal passato pieno di cicatrici esistenziali (perdita prima del lavoro e poi della moglie e dei figli in un incidente aereo) e un presente di solitudine fatto di lavoro e di partite a basket con i neri di una banda di New York.

Colleghi di Jack, di entrambi i sessi, tra cui un’affascinante Laurie Montgomery, assai interessata ai suoi deplorevoli casi personali.

Un’altrettanto affascinante pubblicitaria in carriera, Therese Hagen, anche lei con una vita privata assai triste (gravidanza extrauterina, perdita del figlio e contestuale abbandono da parte del marito). E soprattutto loro: le malattie epidemiche (peste, tularemia, rickettiosi, meningite, influenza di ceppo antico – quella spagnola, addirittura) che seminano la morte nel Manhattan General Hospital della Grande Mela, gestito con piglio assai manageriale e molto poco ippocrateo dal gigante dell’assistenza sanitaria statunitense AmeriCare.

Qui non si mette in discussione la capacità di Cook, medico prima di scoprire la vena d’oro del “medical thriller”, di imbastire un intreccio avvincente partendo da situazioni reali (il problema dell’assistenza medica privata negli USA), probabili (la pandemia influenzale che ciclicamente viene agitata come uno spauracchio dai media internazionali), possibili (gli attentati basati su armi batteriologiche). Il problema è che all’altare dell’intreccio si immola quasi tutto il resto: i personaggi schizzati alla brava, nonostante la volontà di approfondire i casi personali; le situazioni a volte al limite della inverosimiglianza (il comportamento delle bande newyorkesi, la serenità dei medici legali a contatto con micidiali batteri e virus, un semplice antibiotico che salva il protagonista dalla maligna influenza – ma non dovrebbe essere un antivirale?); lo scarso interesse per i risvolti sentimentali (non per morigeratezza, ma solo perché ostacola il regolare climax della suspense); la sconcertante banalità del movente degli omicidi (perché si tratta infatti di miniepidemie indotte) a fronte dell’imponente apparato messo in piedi dall’autore.

Ma al lettore medio (medio-basso o medio-alto?) quanto interessa di tutto questo? Poco o nulla, visto che Cook continua a sfornare romanzi senza un personaggio fisso ma che hanno invece fisso lo schema che viene replicato all’infinito per la gioia del pubblico di affezionati e le tasche dell’autore. Ci troviamo quindi in presenza di quella produzione di serie che per anni, debitamente “tagliata” per entrare nel letto di Procuste della collana, ha avuto in Italia la prestigiosa vetrina del “Giallo Mondadori”: il romanzo che non ti farà dormire, la lettura da treno o da sala d’aspetto, la confortante sicurezza che alla fine tutto si risolverà.

Sì, insomma, il romanzo che non ci farà dormire fino all’ultima pagina; ma che poi, da bravo giallo consolatorio “old school” ci permetterà il sonno del giusto dopo aver sgominato legioni di cattivissimi batteri e/o virus. Roba che neppure in tv viene più trasmessa: “E.R.”, a confronto, appare un prodotto di fantascienza.

E allora capirete perché abbiamo, per un attimo, sconfinato nei territori proibiti: per rinfrancarci, per confermarci nella decisione di occuparci, pur senza sconti, di un’“altra letteratura”, di un “altro noir”, talvolta con ambizioni letterarie manifeste benché infondate, ma che almeno osa sfidare le vette senza sistemarsi nella pigra sicurezza di valli senza sorprese.

 

Voto: 5