Per coloro (pochissimi, riteniamo) che si fossero collegati solo in questi giorni con la saga di “Millennium”, riassumiamo le puntate precedenti.

All’alba del nuovo millennio il giornalista d’inchiesta svedese Stieg Larsson, esperto di movimenti neonazisti e fondatore della rivista “Expo”, decide di darsi alla narrativa e concepisce un ciclo di 10 romanzi di cui comincia a scrivere freneticamente i primi tre.

Nel 2004, a soli cinquant’anni, quando ancora la trilogia di “Millennium” deve ancora uscire, muore d’infarto nella sua redazione.

Tra il 2005 e il 2007, con cadenza annuale, escono Uomini che odiano le donne, La ragazza che giocava con il fuoco e La regina dei castelli di carta: ben presto tradotti nelle principali lingue, ottengono un successo straordinario.

Il cinema e la tv si impossessano della saga ed escono, nell’ordine: nel 2009, tre film svedesi, nel 2010 la serie tv, sempre svedese, da essi derivata e nel 2011 e il remake americano della prima pellicola.

Nel frattempo, per soddisfare un pubblico di lettori in chiara crisi d’astinenza letteraria, cominciano a circolare, assieme alle reali controversie sulla cospicua eredità di Larsson tra la compagna Eva Gabrielsson e il padre e fratello dell’autore scomparso, le leggende su un quarto e forse un quinto romanzo, rimasto allo stato d’abbozzo in qualche file nascosto o perduto.

Infine, e siamo arrivati ai nostri giorni, la casa editrice di Larsson – la Norstedts – in accordo con gli eredi legali di Larsson (padre e fratello appunto) affida il compito di scrivere il quarto capitolo della saga a David Lagercrantz, il cinquantatreenne scrittore svedese famoso in tutto il mondo per aver dato voce al calciatore Ibrahimović nella sua autobiografia.

Va detto sin d’ora che non si tratta di quelle operazioni un po’ ipocrite che sembrano contraddistinguere il mercato anglosassone con autori ad esempio del calibro di Robert Ludlum che, morto da tempo, continua a “firmare” i nuovi volumi seppure in condominio (con caratteri tipografici più piccoli) con i reali estensori dei romanzi. Quello che non uccide è tutto ed esplicitamente di Lagercrantz e, pur utilizzando i principali personaggi della saga di Larsson, si pone onestamente come legittimo sequel. Pare inoltre, almeno a sentire lo stesso autore che ne parla nel suo “diario di bordo” pubblicato qualche settimana fa su “La lettura”, il supplemento letterario domenicale de “Il Corriere della Sera”, che l’idea centrale dell’intreccio sia tutta farina del suo sacco; niente a che vedere dunque con appunti, tracce, abbozzi del defunto Larsson poi ampliati e sviluppati: finzione dietro alla quale, da Salgari a Ludlum appunto, si cela il frenetico lavorìo dei ghost writer assoldati da eredi e case editrici ansiose di monetizzare l’appeal di certi eroi della letteratura popolare.

A questo punto però non possiamo esimerci dal dare una valutazione di questo quarto episodio, pur nella consapevolezza che talvolta le nostre affermazioni potranno sembrare un po’ troppo apodittiche: ma come potremmo dar piena ragione dei nostri giudizi senza cadere nel peccato mortale per ogni recensore, ossia rivelare, in parte o in toto, l’intreccio?

Partiamo dall’idea-fulcro del romanzo, ossia il problema sollevato dalle moderne tecnologie informatiche, con particolare riferimento alle ricerche sull’Intelligenza Artificiale e al controllo dei dati che lo spionaggio informatico mette a disposizione di organismi istituzionali – come la statunitense NSA – o criminali. Il tema è certamente interessante e di bruciante attualità, ma Lagercrantz talvolta eccede in tecnicismi matematico-informatici che rimangono un po’ un corpo estraneo per la stragrande maggioranza di lettori che non abbia competenze in quel determinato campo

Passiamo poi all’intreccio e al ritmo della narrazione, due dei punti di forza di Larsson: nella prima metà di Quello che non uccide la macchina della storia sembra faticare a mettersi in moto: scarsi sono i colpi di scena, troppo dettagliata la descrizione della crisi professionale di Blomqvist, rari i dialoghi significativi mentre l’attenzione dell’autore sembra assorbita quasi esclusivamente dal ritratto d’insieme; solo nella seconda parte il romanzo comincia a rotolare decisamente verso il finale con quella velocità a cui la saga “Millennium” ci aveva abituati.

C’è l’insieme dei temi tanto cari a Larsson: la violenza su donne e minori, la latitanza dei servizi sociali, l’invadenza dell’intelligence, la pratica acquiescenza svedese, pur nella sua neutralità, alla contrapposizione da Guerra Fredda tra Ovest ed Est; qui la vis polemica si è alquanto raffreddata e, pur in presenza di situazioni che richiamano quelle della serie originale, si ha l’impressione di un omaggio dovuto più che di un’esigenza profondamente sentita.

Esaminiamo ora i personaggi: quelli “storici” sono quasi tutti presenti, da Blomqvist alla redazione di “Millennium”, Erika in testa; da Lisbeth Salander a Bublanski e la sua squadra di poliziotti; per arrivare al tutore di Lisbeth Palmgren o all’hacker Plague. Ma si avverte lo sforzo di Lagercrantz di ridare nuova linfa a dei “caratteri” che si stanno trasformando nelle sue mani sempre più in “maschere”.

E allora, sin dalle primissime battute, inserisce i “suoi” eroi: il genio dell’informatica, professor Frans Balder, e il suo figlio, autistico savant che associa una memoria fotografica a sorprendenti capacità matematiche; Gabriella Grane, l’analista della Säpo, il servizio segreto svedese, che collabora con Balder e poi con Bublanski e Blomqvist; Edwin Needham – Ed the Ned – che ha raggiunto il prestigioso incarico di responsabile della sicurezza della NSA dopo un’adolescenza e una gioventù alquanto dissipate. Risulta subito chiaro che Lagercrantz, accanto al doveroso “omaggio” agli eroi larssoniani di cui si diceva, intende subito marcare il territorio, accreditarsi presso il lettore con personaggi originali che interagiscano con quelli “storici” creando una nuova e, possibilmente, avvincente miscela.

Il risultato?

Se dovessimo giudicare il romanzo solamente in relazione alla trilogia precedente, saremmo inclini a elargire una stretta sufficienza: troppa prolissa la prima parte, troppo stereotipate certe scelte narrative relative ai due big – Blomqvist e Salander – e troppo debole la parte di denuncia sociale delle storture del sistema socio-politico svedese. Ma se consideriamo Quello che non uccide per quello che probabilmente è, e gli indizi non mancano, cioè una tappa interlocutoria proiettata verso una lunga serialità, allora il giudizio si fa meno duro: dobbiamo allora considerare la perizia dell’autore nel riprendere i vari fili rimasti irrelati nella saga originale e nel conferire loro una certa logica consequenziale; l’abilità nello sviluppare uno degli elementi più romanzeschi, ottocenteschi quasi, appena accennati nel terzo romanzo, ma che qui – e capirete che non possiamo dire di più – diventa centrale; l’accortezza nel chiudere le questioni più importanti nel giro delle quasi 500 pagine del romanzo, ma nel lasciare anche alcuni cliffhanger secondo le tecniche più collaudate non solo del feuilleton, ma anche e soprattutto delle moderne serie tv.

D’altronde anche Uomini che odiano le donne ha sempre avuto la funzione di ouverture dell’intera saga mentre i due romanzi successivi entrano nel vivo delle questioni care a Larsson e permettono di delineare con maggiore chiarezza la personalità degli eroi; riteniamo dunque che le vere potenzialità di Lagercrantz si dispiegheranno appieno dal prossimo episodio – che nessuno al momento prevede ma che scommetteremmo sia già stato deciso nelle segrete stanze della Norstedts – quando, tributato l’omaggio al padre fondatore del mito e suturate tutte le crepe narrative causate dall’improvvisa morte di Larsson, potrà dispiegare tutta la sua potenza di fuoco.

Voto: 7