Grazia Verasani, scrittrice, sceneggiatrice e musicista bolognese, dai cui romanzi sono stati tratti film di successo e serie tv, è appena uscita con “Come la pioggia sul cellofan” sesto romanzo della serie con protagonista la detective privata Giorgia Cantini.

Solitudine, delusioni, fallimenti professionali e personali, abbandoni: questa la cifra del romanzo ambientato in una Bologna piovosa, invernale, cupa, che rispecchia perfettamente lo stato d’animo dei vari personaggi.

Giorgia Cantini è incaricata di indagare su una stalker che da tempo ha preso di mira un cantante di grande successo fino a poco tempo prima ma in piena crisi creativa e esistenziale che “cura” con eccessi alcoolici e di coca. Anche Giorgia Cantini, è in crisi perché è stata appena lasciata senza un briciolo di spiegazione dal suo ultimo amore, un dirigente della squadra Mobile che l’ha abbandonata, dopo una convivenza di un anno, per tornare dalla ex moglie e dal figlio.

Giorgia si rifugia nel fumo e negli alcolici che consuma compulsivamente , fino a ritrovarsi al mattino ubriaca fradicia nelle vie di Bologna.

Quasi contemporaneamente alla prima indagine,  un’anziana signora della Bologna bene incarica Giorgia perché s’ informi sul passato della futura moglie dell’unico figlio. La donna è sfuggente e non le piace: a suo giudizio è un’arrampicatrice sociale  priva di scrupoli.

Più che sulla trama, piuttosto esile, l’autrice si concentra sul mal di vivere che colpisce quasi tutti i personaggi principali e che fornisce il movente per un omicidio.

Lo stile, a tratti poetico, disegna con pochi tratti sensazioni e sentimenti.

La pioggia la fa da padrona, anche nel titolo.

Riparata dai portici continuo a bere, a fumare, a guardare le persone che passano: quasi tutte con gli occhi sul display dei loro telefonini. Già, tutti questi piccoli scudi di marca, tutti a sfangarla con esistenza schermate, indirette, forse le più indolori. Siamo gli abitanti di un grande multisala, ognuno col proprio cinema privato: sovrapponiamo le nostre visioni alle immagini di una realtà coatta, in differita come un programma tv, e inodore come queste gocce d’acqua su cappotti e impermeabili”. (p. 173)