Nel precedente romanzo pubblicato in Italia di Zoran Živković “L’ultimo libro”, edito da Tea, si raccontava la storia di lettori i quali, nel momento in cui s’imbattevano nella lettura di un particolare libro, morivano all’istante. Ora, con il nuovo romanzo dello scrittore serbo “Il grande manoscritto”, edito sempre da Tea, capita il contrario: se s’imbatte in un certo libro si ha la vita eterna, l’immortalità. In realtà, come il titolo suggerisce, più che un libro finito e pubblicato, il riferimento è al testo che una scrittrice di successo, Jelena Jakovljević, sta scrivendo e che, in ritardo sui tempi, non ha ancora consegnato alla sua agente letteraria, la signorina Ljubica Aksentijević.

Sulle virtù del manoscritto veniamo a sapere dopo, quando scopriremo che più case editrici e altre consorterie sono disposte a tutto pur di accaparrarselo. Sta di fatto però che l’autrice, con tutto il suo manoscritto, è scomparsa. Ad accorgersene è proprio la signorina Aksentijević, dopo che, non rispondendole più la scrittrice neppure al telefono, la va a trovare a casa. L’agente letteraria pensa addirittura che Jelena si sia sentita male, perché la porta dell’appartamento in cui vive è chiusa dall’interno. A questo punto non le resta che chiamare la polizia, e ad arrivare è l’ispettore Dejan Lukić, lo stesso poliziotto che ha condotto le indagini nell’ “Ultimo libro”. Non è un caso, perché ormai i lettori dell’”Ultimo libro” conoscono bene la sensibilità letteraria del poliziotto, il quale non manca di prodursi con i suoi interlocutori in battute che hanno al centro la discussione se il romanzo poliziesco, in quanto di genere, non sia da considerare un’opera letteraria minore. La convinzione - che è poi quella di Zivković stesso, grande estimatore de “Il nome della rosa” di Umberto Eco - è che un libro si giudica indipendentemente dal genere o meno di appartenenza: l’unica misura è se è bello o brutto, tutto il resto non conta.

Lo stesso scrittore serbo, del resto, scrive polizieschi, seppur sui generis, quasi una loro affettuosa parodia lasciando emergere dalla trama delle indagini, che hanno comunque il gusto del mistero e dei colpi di scena, il lievito letterario che è la cifra della sua scrittura.

Per cui potremmo ancora raccontare qui di quanto accade nel romanzo, che ha anche l’impronta – per l’autore e il lettore – del divertissement con diversi espedienti. Ad esempio, con l’entrata in campo di un agente con un passato di scassinatore che viene ad aprire la porta dell’appartamento della scrittrice, chiusa dall’interno con la chiave nella toppa; con i dispetti tra l’ispettore Lukić, autentico protagonista del romanzo, e il suo collega, il commissario Milenković che vorrebbe avocare a se l’indagine; l’ingresso in campo di una Agenzia per la Sicurezza Nazionale e l’invenzione di cellulari che riescono a comunicare senza scheda né batteria. In questo quadro, sembra che ogni mossa di Lukić, così come le sue comunicazioni, siano seguite un po’ da tutti: dall’Agenzia per la Sicurezza Nazionale così come però, presumibilmente, anche dall’ autrice stessa, quella Jelena Jakovljević nascosta chissà dove, che gli manda, su un telefonino che l’ispettore ha trovato accanto al computer, sms provocatori che porteranno l’ispettore alla scoperta di altri cadaveri, lungo una pista che ad ogni tappa gli ricorderà il titolo del romanzo che la scrittrice sta scrivendo, ovvero “Trovami”. Che è poi il leitmotiv intorno al quale “Il grande manoscritto” gira e in cui tutti cercano qualcosa, l’ispettore Lukić l’autrice; l’agente letterario e gli altri editori e affini il manoscritto, la prima per venderlo al miglior offerente, gli altri per acquisire l’immortalità; il commissario Milenković per battere sul tempo l’ispettore Lukić e così via, in un gioco che diventa ben presto ciò che è sostanzialmente questo romanzo di Zoran Živković: un gioco letterario mascherato da giallo.