Non so quanto sia diffusa all’estero la vocazione alla scrittura di thriller da parte di magistrati e poliziotti, gente già immersa di suo in vari reati, non esclusi delitti di sangue e relativi assassini. Una cosa però è certa: in Italia non mancano e sono tutti molto bravi. Come lettore amo Giancarlo De Cataldo, Gianrico Carofiglio oppure Domenico Cacopardo, tutti magistrati; sono amico di Maurizio Matrone, che cominciò a scrivere gialli quando era ancora poliziotto, così come del triestino Andrea Ribezzi; poliziotto è pure Alessandro Maurizi, che ha fondato a Viterbo la manifestazione libraria rivolta ai gialli Ombre, e non ultimo il grande Antonio Fusco. E, per restare nel campo dei poliziotti, ne aggiungo subito uno di non meno grande valore e successo, come Marco De Franchi, che pubblica con Longanesi autentici best sellers come La condanna dei viventi, Il maestro dei sogni e, da qualche giorno in libreria il terzo titolo, ovvero Il silenzio delle rondini.
Marco De Franchi è stato Commissario Capo e ha lavorato presso un ufficio investigativo di cui si sa poco, anche se si tratta della nostra FBI: parliamo del Servizio Centrale Operativo, che ha funzioni di coordinamento delle squadre mobili delle questure italiane con competenze sull’intero territorio italiano. Per inciso, io ne ho conosciuto l’esistenza quando a diventarne il capo fu Rino Monaco, di cui ero diventato amico all’epoca in cui comandava la centrale operativa di Roma (il 113), ed io, fresco autore di gialli, lo intervistai per una rivista della allora Sip-Telecom Italia, mantenendo poi legami professionali che mi portarono a visitare anche la sede dello SCO, allora in via dell’Oceano Pacifico, all’EUR.
La lotta alla criminalità, in particolare quella organizzata, è di casa allo SCO e De Marchi credo vi abbia attinto molta materia con la quale poi confeziona i suoi thriller. “Il silenzio delle rondini” ad esempio affronta il tema dei serial killer, qui però visti in un’ottica non solitaria come siamo abituati, bensì di organizzazione, quasi un disegno sociale a cui si presta un insospettabile poliziotto francese di origine italiana, François Castaldi. Il cui padre, a sua volta un poliziotto, oltre a picchiare la madre, non si faceva scrupoli a insegnare al figlio a dare lezioni di come ci si comporta con quanti non corrispondono pienamente ai canoni di ordine e decoro: clochard, drogati e quant’altri disturbino il vivere civile. Portava pertanto con sé il suo bambino per fargli vedere come si trattavano persone di questo tipo riempiendole di pugni e manganellate. François, poi, bravissimo apprendista, all’insaputa anche del padre, si divertiva a tornare sul posto per finirli di ammazzare, tormentato com’era dalla domanda: cosa accade nella mente delle vittime negli ultimi momenti della loro vita? E la sua prima vittima sarà, appunto, un clochard, che egli raggiunge di notte, dopo aver visto il padre picchiarlo: “Ho il furore estatico del mio primo omicidio” racconta l’io narrante che impersona François “Ho quella domanda nella mente. E ho tempo. Ho tutta la vita davanti per cercare una risposta. Domani compirò dodici anni”.
Agghiacciante. L’azione poi si sposta in Italia, dove ricompare Valentina Medici, l’agente dello SCO che abbiamo già visto in azione nei due precedenti romanzi, un personaggio turbato e disturbante, ma integerrimo, che incontra molte difficoltà nel suo mestiere. Vedremo questo originale personaggio combattere contro i propri “mostri” e quelli di cui inevitabilmente è circondata per il suo mestiere, con la sua caparbietà, nella sua solitudine, ora che non ha nemmeno più l’aiuto di Fabio Costa, (davvero morto?) il poliziotto che appare in La condanna dei viventi e che è stato tenuto lontano, perché forse va troppo a fondo alle cose e a molti non piace.
Buona lettura, dunque. E non solo per la trama avvincente, con sprazzi di horror a chi piace, turbe mentali, scenari psichedelici, personalità fuori di testa, “orchi”, quelli che sognano nugoli di rondini silenziose attaccate dai gabbiani rapaci, ma anche per la scrittura, calda nella sua fredda lucidità narrativa che rivela nell’autore una vocazione autentica di scrittore grazie alla quale il lungo mestiere di poliziotto presta solo spunti per storie che fanno dei thriller di Marco De Marchi pezzi non comuni nel panorama italiano.
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