""The Getaway Man – L’uomo della fuga" non è un racconto del mistero, non ha un enigma da risolvere. Non vanta buona educazione né è rivestito di eleganti panni letterari, quelli così melliflui e noiosi della letteratura mainstream”. Lo scrittore texano Joe R. Lansdale presenta con queste parole al pubblico italiano uno dei romanzi neri più interessanti della produzione del suo amico fraterno Andrew Vachss. The Getaway Man (Fanucci Editore) mostra ancora una volta la travolgente forza narrativa di un autore che conosce molto bene i territori criminali che racconta visto che nel tempo è stato avvocato, investigatore federale, assitente sociale, ma anche delegato Onu in Biafra e persino direttore di un carcere per minori. Ed è lo stesso Andrew Vachss a svelarci l’origine del suo romanzo: “Mi sono sempre piaciuti i romanzi della serie Gold Medal della fine degli anni Cinquanta e inizio Sessanta e volevo fare un omaggio all’aspetto, e insieme alla lunghezza, di quelli che vengono definiti i ‘tascabili originali’… Il mio libro apparentemente racconta cosa vuol dire essere un autista della mala ma in realtà parla di come un uomo innocente si ‘ritrova’ a guidare in un mondo che per un’altra persona è favoloso, un’arte… una droga… Eddie cerca il suo posto nel mondo in modo disperato, ed è disposto a rischiare tutto in questa ricerca. Non è un mitico ‘lupo solitario’ di quelli che si vedono al cinema: il fulcro di questo romanzo è il bisogno pressante del protagonista di trovare un legame con gli altri”.

Com' è iniziata la sua carriera di scrittore? Cosa l’ha spinta a passare alla narrativa?

Sono stato spinto da due motivi. Primo, avevo già scritto un manuale. Ma anche se era stato accolto molto bene dai professionisti che si dedicano alla protezione dei bambini e ai casi giudiziari riguardanti gli adolescenti, non avevo potuto raggiungere le persone sulle cui vite hanno una profonda influenza le decisioni del governo su questi argomenti. Inoltre volevo parlare a un pubblico più vasto di una giuria di tribunale. La battaglia era la stessa, ma gli obiettivi erano diversi, ovvero scrivere ‘narrativa’ nella quale sapevo che i lettori avrebbero potuto trovare la cruda verità è stata la strada che ho scelto.

Quanto crede che attraverso un genere come il noir si possano veicolare tematiche sociali?

Chi decide che un libro è un ‘noir’? Quando mi è stato chiesto di scrivere una breve autobiografia per Contemporary Authors, ho risposto semplicemente così: “Per quelli che guardano alla ‘crime fiction’ come a un’icona sacra che deve seguire una formula rigida, sarò sempre l’uomo che scrive compone haiku di 18 sillabe”.

Mentre in Another Life mi sono espresso in modo più preciso, usando le parole stesse di un folle ‘collezionista’ di romanzi tascabili…

“Il noir è un concetto, non un genere. Un po’ come l’hard boiled. Anche quello dovrebbe essere un genere. Come, per esempio, il western o il romance. Ma non è un’affermazione corretta: infatti crea delle sovrapposizioni” disse, evidentemente offeso da quell’idea.

“Un western può essere anche hard boiled, per dirne uno. E noir si applica bene a qualsiasi cosa, dalla fantascienza al crime vero e proprio.”

“E quello che chiami ‘worm noir’ parla di… vermi?”

“No” rispose pazientemente.

“È un settore a parte. Alcuni sono pastiche veri e propri, altri sono imitazioni talmente grossolane da sembrare dei plagi, ma in generale ‘worm noir’ è il tipo di opera che si può definire propriamente noir, capisci?”

“E se non fosse così…?”

“Lo chiamerebbero in un altro modo” disse.

Non stava esprimendo un giudizio, era come uno scienziato che identifica una specie.

“Alcune forme di semplice spazzatura, con qualche elemento convenzionale sparso qua e là. Non si può descrivere, se non come spazzatura… termine che non è un aggettivo, ma una classificazione.”

Fece un respiro, si assicurò di avere la mia attenzione e aggiunse: “Dovendo dare una definizione al ‘worm noir’  deve far parte del pantheon degli ufficialmente privi di talento. Ha come una specie di… disonestà, un odore caratteristico. E tutti i suoi autori sembrano aver seguito la stessa strada per arrivare alla pubblicazione.”

“Non sono sicuro di…”

“Come fa una pecora a camminare per le vie pericolose tutta sola?” riprese lui, come se stesse esaminando un ossimoro. “Il suo gregge non produce altro che elementi riciclati.”

In bocca a chiunque altro sarebbe sembrato sprezzante sarcasmo, ma la sua voce aveva un’intonazione priva di qualsiasi giudizio, come la Classificazione decimale Dewey che aveva modificato per i propri scopi.

Perchè ha voluto che Burke (il protagonista della sua più lunga serie di romanzi) fosse un criminale piuttosto che un poliziotto o un avvocato?
;;;;;Volevo mostrare alla gente il volto dell’Inferno. Non un’immagine religiosa di qualche stupido film a cartoni animati: la verità. Se fossi un turista che vuole vedere la realtà in tutto, a chi chiederesti, a uno scrittore o a uno del posto? In "The Getaway Man" il protagonista Eddie vuole essere il miglior autista della mala in circolazione, mi sono venuti in mente personaggi come "Driver, L'imprendibile" del film di Walter Hill ma anche il protagonista di "Drive" di James Sallis, perché trova che sia così interessante parlare di chi nelle bande guida la macchina? 

Non sono sicuro che il mio romanzo possa ricordare quello di un film che il mio stesso protagonista ritiene un incompetente.

Per dirla con le parole di Eddie:

“Così le dissi che il tizio che guidava per conto terzi, nel film, non faceva bene il suo lavoro. Lei mi chiese di spiegarmi meglio. E diceva sul serio. Ubbidii. Il tizio del film, quando lo ingaggiavano per un colpo, andava a rubare una macchina. E fin lì tutto bene. Ma quella macchina non la controllava mai. Invece bisogna. Bisogna essere sicuri che gli pneumatici siano a posto. Anche la loro pressione è fondamentale. E poi i freni, gli ammortizzatori. Puoi anche essere il miglior guidatore del mondo, ma se le sospensioni fanno schifo non riuscirai mai a far fare alla tua macchina quel che deve. Mica puoi rubare la prima macchina che ti trovi sottomano, in strada, e andare dritto a farci un colpo.”

Non ho letto il libro di James Sallis a cui fa riferimento, ma dato che è stato pubblicato qualche anno dopo l’uscita negli Stati Uniti di The Getaway Man, magari è un romanzo splendido, ma difficilmente può aver avuto qualche influenza su di me.

Per concludere, inoltre, questo libro non parla dell’essere un autista della mala: parla di come un uomo innocente che si ‘ritrova’ a guidare in un modo che per un’altra persona è favoloso, un’arte… una droga, insomma, i paragoni potrebbero essere infiniti: e questo diventa la sua via di fuga dalla sua stessa vita. Eddie cerca il suo posto nel mondo in modo disperato, ed è disposto a rischiare tutto in questa ricerca. Non è un mitico ‘lupo solitario’ di quelli che si vedono al cinema: il fulcro di questo romanzo è il suo bisogno pressante di un legame con gli altri.

Appena ho letto il titolo non ho potuto non pensare al classico "The Getaway" di Jim Thompson e all'omonimo film di Sam Peckimpah, è casuale il mio ragionamento o c'è qualcosa che la lega a questi due autori? 

Questo collegamento non riflette il mio intento nella scrittura del romanzo. Non mi sento legato a nulla che mi abbia preceduto, in nessun aspetto della mia carriera. Non sto parlando di ‘originalità’ né sto reclamando incredibili imprese: sto semplicemente dicendo che ho scelto da solo la mia strada, e che la percorrerò fin quando non finirà lei, o io.

Può raccontarci com'è nata l'idea del suo "The Getaway Man"?

Mi sono sempre piaciuti i romanzi della serie Gold Medal della fine degli anni Cinquanta e inizio Sessanta. Non sono il solo ad apprezzarli. Noti il ringraziamento della frase che mi ha detto mio fratello molti, molti anni fa. Così volevo fare un omaggio all’aspetto, e insieme alla lunghezza, di quelli che vengono definiti i ‘tascabili originali’

Com'è nata l'associazione Protect per la difesa dei minori della quale si occupa da anni e come si è trovato coinvolto nel sviluppare le sue attività?

Durante una delle presentazioni che gli editori fanno sempre per promuovere qualsiasi libro, un uomo fece la stessa domanda che molti altri fanno dopo aver letto i miei romanzi. “Cosa posso fare io?”. Risposi come faccio sempre in questi casi. “Non saprei. Cosa sai fare?”. Quando mi spiegò che era un politico, gli dissi che, se faceva sul serio, poteva chiamarmi nel mio ufficio. Lo fece. E da allora, è nata PROTECT. Quell’uomo era Grier Weeks, e ha condotto l’organizzazione ad alcune incredibili vittorie, come l’approvazione di una legge contro l’incesto nello Stato di New York. Invece di chiedere fondi, la PROTECT è una lobby. Non vogliamo donazioni: vogliamo membri. E la formula che abbiamo scelto ha già fatto miracoli.

Cosa l'ha portata ad occuparsi in prima linea dei problemi legati alle violenze sui minori? 

Non posso rispondere a questa domanda senza scriverci sopra un libro. Riassumerò meglio che posso: odio i violenti. In tutte le loro manifestazioni. Non faccio quello che faccio perché amo i bambini, ma perché non sopporto chi li rende vittime.

Come si è trovato a tradurre le sue storie in fumetti e in particolare quanto si è divertito a scrivere storie per Batman e Predator? 

L’idea di usare il graphic novel per trasmettere messaggi non è stata mia. Ma quando si è presentata l’opportunità di vedere alcuni miei racconti adattati a questo format da alcuni dei migliori scrittori che conosco e disegnati da giganti industriali, mi ci sono gettato a capofitto. E Hard Looks è andato ben oltre la mia immaginazione, portando le mie opere a un pubblico completamente nuovo, che è rimasto interessato a me tuttora. In ogni caso, ho trovato il lavoro su Batman e Predator terribilmente noioso. Sì, mi hanno dato un’ulteriore possibilità di parlare dei temi a me cari, ma la costrizione a usare personaggi che non ero stato io a creare era troppo limitante per me, e non è un’esperienza che rifarei… e, infatti, ho rifiutato altre offerte a fare lo stesso con altri personaggi noti.

Come vi siete conosciuti lei e Joe R. Lansdale? Cosa vi lega letterariamente e umanamente? 

Conosco Joe (e Karen, e Keith, e Kasey) da tanti anni che non me lo ricordo più. Non so cosa ci unisca come scrittori: lascio questo giudizio agli altri. Per il resto, Joe è un fratello. Non c’è bisogno che io spieghi a chi ha letto i miei romanzi cosa sia la ‘famiglia per scelta’, soprattutto se si parla della serie dedicata a Burke.

Quanto si è divertito a scrivere racconti in coppia con Big Joe e soprattutto cosa l'ha spinta a scrivere a quattro mani alcune storie di Hap e Leonard? 

Scrivere con Joe per me è come parlare con lui. Adoro Hap e Leonard, e per me non c’è stata nessuna esitazione (come invece era successo con Batman e Predator, dato che non avevo familiarità con nessuno dei due quando ho avuto l’incarico di lavorarci). Però non è corretto dire che ho scritto ‘insieme’ a Joe: è stato lui a creare Hap e Leonard, io ho solo aggiunto qualcosa a un solo episodio.

A entrambi viene chiesto in continuazione quando scriveremo un romanzo intero insieme. Ed entrambi ci promettiamo a vicenda che lo faremo… un giorno.

Ci può parlare della sua esperienza come direttore di un carcere di sicurezza per minori disadattati?

Non senza scadere. È il motivo per cui ho scritto il manuale… e il motivo per cui continuiamo a cambiare la disposizione interna del carcere. Ospitiamo i peggiori ragazzini dello Stato. E siamo riusciti a farlo senza un solo stupro, accoltellamento, o suicidio. So che possono non sembrare dei risultati grandiosi, e non mi sorprende. Solo chi lavora davvero all’interno del nostro sistema ne conosce il vero volto. E questo, di conseguenza, spiega perché mi sono dedicato al ‘crime novel’… volevo far uscire quella realtà allo scoperto.

E della sua missione come inviato dell'Onu in Biafra cosa può dirci?

Anche qui potrei scrivere un libro, amico mio. Cosa posso raccontare? Il mondo si è rifiutato di definirlo genocidio, anche se il conflitto era fra tribù, e sono morte almeno un milione di persone. Mi sono avvicinato alla zona di guerra quando la fine era così vicina che non c’era più nessun giornalista. Quando quell’aereo della Croce Rossa è stato abbattuto dai nigeriani, era solo una questione di tempo prima che arrivassero i missili, le pallottole e le bombe. Sono andato via un momento prima che arrivasse la fine. E quale ‘fine’ potrebbe esistere, più della scomparsa del Biafra? Naturalmente se si guarda più da vicino al costante conflitto nella zona del Delda, ricca di petrolio, non si riesce ad avere la certezza che guerre del genere potranno mai avere termine. Pensiamo alle squadriglie di Tutsi che davano la caccia agli Hutu ‘genocidi’ in Congo. O al ruolo della Lord’s Resistance Army… pensiamo come a uno psicotico assassino di massa sia stato permesso di spadroneggiare per tanti anni. Chiunque si rifiuti di cogliere la connessione tra le risorse naturali (come il petrolio) e i conflitti militari supportati da nazioni ‘non coinvolte’ ha deliberatamente deciso di non vedere la realtà.

E' vero che uno dei suoi prossimi progetti letterari "Heart Trasplant" toccherà il tema del bullismo, come ha scelto questa tematica? 

È vero. L’uscita di Heart Transplant è prevista per quest’autunno. Ho scelto questo argomento perché, se si analizza, è l’esempio più lampante di “la ragione è del più forte”. Sia che si tratti di un individuo umano (non riesco a chiamare persone del genere ‘genitori’) che tratta un bambino come se fosse una sua proprietà, o di un Paese che decide che sterminare un’intera tribù o un’etnia, il principio è lo stesso. L’unico vero modo di combattere tutto questo sarebbe di ricodificare il software culturale. Ogni nazione è diversa. Noi abbiamo cominciato in America. Ma, proprio come il libro di cui stiamo parlando e che di certo potrebbe essere tradotto nel vostro paese. E, come qualsiasi altra cosa scritta da me, in ogni Paese ci sarebbero persone che riconoscerebbero all’istante quanto stanno leggendo… perché loro stesse l’hanno provato.