Un punto di partenza a caso: il noir. Qual è secondo te il bestiario contemporaneo del noir italiano? A parte i soliti commissari, giudici… non trovi che, a parte qualche rara eccezione (i protagonisti dei libri di Andrea Santini ad esempio), il noir italiano abbia una gamma di "figure" un po' limitata? Te lo chiedo pensando all'Alligatore, che, permettimi la semplificazione, funziona in qualche modo come un investigatore privato, e rappresenta un'eccezione non indifferente rispetto al panorama letterario.

L’Alligatore nasce da un ragionamento lungo e complesso. Mi serviva un personaggio che non mi costringesse a riprodurre nei miei romanzi la verità istituzionale. L’Alligatore non è un investigatore nel senso tradizionale del termine ma si situa in quel confine tra legalità e illegalità di ex galeotti che aiutano gli avvocati a cercare entrature nel mondo della criminalità per trovare informazioni utili ai loro clienti. In genere, anche per i noir, cerco personaggi lontani da quelli generalmente proposti e li cerco nella realtà. La maggioranza degli autori italiani preferisce un registro più classico. Ai lettori non dispiace ma non so quanto potrà durare ancora… che Italia possono ancora raccontare questi personaggi?

Già, quale Italia… negli Stati Uniti l'omicidio Kennedy ha catalizzato diversi contributi di decostruzione del Sogno Americano (Ellroy in testa) in Italia, a volte, si ha ancora l'impressione di stare nel bel paese della Cinquecento... se dovessi scegliere un evento, un "cuore nero" della storia dell’Italia del boom economico?

L'emigrazione. La più grande (interna a un paese) d'Europa. L'arrivo nelle grandi città, lo stravolgimento di esistenze... per me è tutto lì il cuore nero.

Mi sembra di riscontrare nella maggior parte dei noir italiani più ortodossi (mi riferisco a personaggi seriali principalmente) una certa difficoltà nel gestire in modo concreto il registro emozionale dei personaggi. O sono sbronze o sono incazzature verrebbe da dire... Come ti trovi a gestire le emozioni di un "personaggio" come l'Alligatore rispetto ad altre tue produzioni più personali o strettamente autobiografiche?

Quando ho scritto Il maestro di nodi ho scelto di terminare una prima fase dell’Alligatore con quel tipo di caratterizzazioni. Ora esce a fumetti visto e gestito da Igort e poi, in futuro, in una nuova versione. Credo sia terminato il tempo dei personaggi seriali perennemente uguali come nella tradizione americana. È necessario che rispecchino tempi e luoghi e maturazioni interiori…

Il tuo "Le Irregolari" è uno dei pochi testi ad ampia diffusione sul tema della desaparecion (oltre al "I vent'anni di Luz" della Osorio e il libro su Garage Olympo e Hijos di Bechis). A cosa attribuisci questo silenzio piuttosto inquietante su una vicenda tutto sommato molto vicina all'Italia (anche per motivi da te evocati nello stesso "Le Irregolari")?

Scavare più a fondo obbligherebbe la celebrazione di nuovi processi. E sul banco degli imputati finirebbero anche grandi industrie italiane e il Vaticano. Tutto qui. Per il resto c’è un grande lavoro di solidarietà ma è sotterraneo, serve solo alla sopravvivenza di associazioni e alla ricerca di una verità ancora troppo scomoda.

"Niente più niente al mondo". Un pezzo per voce sola decisamente forte, narrato in prima persona, con la voce delirante del dramma della metropoli che diventa cronaca nera... puoi raccontarci la genesi di questo lavoro?

Ogni delitto nella sacra famiglia italiana è liquidato come improvviso episodio di follia. Mi sono chiesto se davvero sono tutti matti. E poi a fine mese crolla il consumo del latte fresco. Mi sono chiesto chi sono e come sono i neopoveri. E poi ho guardato molta tv, ho passato pomeriggi nei discount delle grandi città…

Casualmente ho letto "Niente più niente al mondo" mentre finivo di rileggere "Milano Calibro 9" di Scerbanenco, l’antologia “metropolitana” per eccellenza. C'è una direzione precisa in questo tuo ultimo lavoro? Rispetto ai romanzi dell'Alligatore (che hanno un respiro diciamo "regionale", molto legato a una realtà delocalizzata e sparsa), sei tornato/arrivato in qualche modo alla metropoli?

Mi interessava la Torino ex operaia dove, un tempo, i quartieri erano caratterizzati da una cultura dominante, quella dell’operaio massa. Oggi gli ex metalmeccanici vivono una crisi che investe anche le loro famiglie e l’intero contesto. Conflitti interni/esterni senza il sostegno di una cultura unificante.

Nel tuo "L'oscura immensità della morte" il tuo sguardo sembra molto più introspettivo che in altre prove. Il lettore è condotto sin dentro le paure e le contorsioni delle menti e dei cuori, qual è il tuo tentativo? È necessaria questa intrusione per capire il dramma della pena?

Sicuramente sì, altrimenti non si oltrepassa la soglia della cronaca. Anche per questo romanzo sono stato costretto a documentarmi molto. Soprattutto interviste alle “vittime”.

Non è stato facile ma alla fine sono riuscito ad entrare nei loro drammi. Abissi paurosi di dolore e solitudine vissuti con la forza dell’odio e del desiderio di vendetta. Per quanto riguarda l’altra parte e cioè la galera, non ho fatto altro che rinfrescare la memoria.

Questo è forse il tuo testo che più si addentra nella persona, nella complessità dell’individuo. I tuoi personaggi acquistano con il passare delle pagine sfumature diverse ed intense: Ivana Stella Tessitore, forse una frustrata e ingenua borghese, ma anche una donna capace di 'spiegare' a Silvano il senso della pena: "Voi vittime avete avuto giustizia al processo. Per questo esiste la legge. Lo stato non può aiutarti, ma le persone sì"(p.145)… Parlaci della costruzione di questa figura, del ruolo che occupa nella morale, se così possiamo dire, della storia.

Non mi pongo mai il problema dello spessore morale dei personaggi. La storia corre e la morale affiora o si inabissa a seconda del ruolo del personaggio. Maneggiare la realtà col romanzo significa di fatto raccontare come stanno le cose. Ivana Stella Tessitore è una figura del variegato mondo del volontariato carcerario. C’è di peggio ma anche di meglio ma le persone come lei sono fragili, aiutano gli altri per riempire i vuoti della loro esistenza.

Un po' di filosofia. In questo romanzo le metafore che guidano il lettore sono tutte fisiche: la luce ed il buio, interno ed esterno, la malattia e la salute, eppure l'oscurità rimane padrona di tutto, dei ricordi, della consapevolezza, del presente. Silvano dice nel finale: "L'oscurità avvolge ancora la mia mente e il passato continua a perseguitarmi". Può sembrare un discorso sul dolore e sul ricordo, anche sul loro uso politico?

Un passato di quello spessore non è neutralizzabile, nel senso che continua a elaborarsi nella mente di chi ha vissuto un certo tipo di esperienze. Silvano non potrà dimenticare ma spera di riuscire a convivere con il ricordo. Non è detto che non ci riesca. Il romanzo, nel suo complesso, è una lettura “politica” degli effetti collaterali delle sentenze di corte d’assise, dolore e ricordo compresi.

Puoi raccontarci il tuo metodo di lavoro, in particolar modo per quelli che potremmo definire i tuoi "liberi" (cioè le opere non legate alla figura dell'Alligatore)? Ricerca, documentazione... da dove parti, come procedi?

Scelgo storie che abbiano un senso generale: raccontare l’Italia di oggi e la rivoluzione criminale determinata dalla globalizzazione dell’economia. Poi seleziono quelle “belle” dal punto di vista letterario. Poi indago, parlo, chiedo, visito luoghi, frugo tra le carte. Poi scrivo il plot….

In alcune occasioni Carlo Lucarelli ha avuto modo di evidenziare come (nel caso ad esempio del suo Coliandro) sia difficile mantenere una caratterizzazione decisamente negativa per il protagonista di un romanzo: diciamo che la creazione di personaggi realmente "disprezzabili" riesce piuttosto raramente. Credo che in Italia sia riuscita sostanzialmente a te e a Evangelisti (che con Eymerich, Pantera e Eddie Florio, di "Noi saremo tutto" si è costruito una discreta galleria di antieroi)... come è nato il Giorgio Pellegrini di Arrivederci Amore Ciao? Come l'hai "gestito" durante il procedere del lavoro?

Giorgio Pellegrini è nato dalla necessità di raccontare la nuova criminalità. In realtà è la sintesi di tre veri malavitosi che ho studiato a lungo. Non solo l’attività “professionale” ma anche le relazioni personali e la quotidianità. Durante la scrittura l’ho detestato ma ho sempre cercato di starci dentro.

Una sensazione che ho ricavato dalla tua scrittura in generale è un centralità dei personaggi rispetto alle localizzazioni, agli scenari. È come se lasciassi parlare i luoghi attraverso le persone... c'è una scelta precisa dietro a questa centralità della persona rispetto al proprio ambiente?

Sì. Mi piacciono le storie dove sono i personaggi i motori della trama e dove tutto passa attraverso i loro occhi e il loro agire.

Negli ultimi mesi sulla scorta del successo di Blu Notte, dei lavori teatrali di Paolini e di altre iniziative analoghe c'è stato un fugace ritorno di fiamma per il giornalismo di inchiesta. Il tema dell'inchiesta sociale e ambientale non è certo nuovo per te (dalle pagine del tuo sito sono molteplici i riferimenti a campagne di sensibilizzazione). Come valuti la situazione di questo tipo di giornalismo in Italia?

Un fugace ritorno di fiamma, appunto. Il problema è che a parte la volontà dei singoli, il sistema informazione ha eliminato il giornalismo d’inchiesta. Credo però che sia necessario usare ogni mezzo per controinformare. Io uso teatro e letteratura. La gente ormai ha imparato a cercare la verità anche nei posti più impensati…

In relazione a questo come inquadri (se te ne sei interessato) libri come "Tutto quello che sai è falso" e via dicendo? A volte si ha come l'impressione che inchiesta, paranoia e teoria del complotto vengano "vendute" tutte assieme con il letale effetto di rendere ancor più distante la verità...

La grande vittoria dell’ informazione falsa e pilotata è stata proprio quella di non far credere più a nulla. Tanto meno alla verità. Però quando la controinformazione è circostanziata e riguarda un singolo campo d’intervento riesce a scalfire questa corazza di cinismo e disincanto. Il segreto è usare mezzi e linguaggi lontani da quelli dei media.

Teatro, fumetto, lavoro d'inchiesta, testi per la radio... indubbiamente linguaggi e media non "facili". E anche la letteratura per ragazzi... come inquadri in senso "educativo" il lavoro sulla narrativa e sulla cultura letteraria della fascia under 20? Non varrebbe la pena, dovendo scegliere, di lavorare proprio sui ragazzi, sui giovani, come in parte stai già facendo?

Credo sia importante lavorare in tutte le direzioni. Da tempo sto cercando la chiave giusta per un noir rivolto alla terza età... la letteratura per ragazzi è un terreno delicato per me nel senso che le mie storie, spesso, sono troppo "crude" e scarsamente "educative". Ora sto lavorando a un nuovo romanzo con un personaggio di 12 anni. Una bella sfida. In realtà non voglio sottolineare il senso educativo della storia ma quello realistico.

È uscito ormai da qualche settimana il primo volume di "Arrivederci Amore Ciao" nella versione a fumetti disegnata da Andrea Mutti. Che ruolo hai avuto nella realizzazione del progetto? In generale rispetto al mondo della cosiddetta "letteratura disegnata" come ti poni?

Nel progetto non ho avuto nessun ruolo particolare, se non proporre un finale diverso da quello del romanzo. Del resto Mutti e Crovi sono una garanzia di bravura e serietà. Credo molto nella letteratura disegnata al punto che ho affidato un romanzo inedito dell’Alligatore al grande Igort. è importante coltivare questo “filone” perché dà modo di raccontare in modo più complesso e completo alcuni tipi di storie.

Personalmente trovo che il compito affidato al disegnatore nel caso di "Arrivederci Amore Ciao" fosse particolarmente difficile... dare un volto a un personaggio letterario è un pò come trovare il doppiatore giusto per il cartone animato di Lupo Alberto :-) ... si va a ridefinire un'aspetto molto personale dell'immaginario del lettore. Trovi che nel fumetto le dinamiche di identificazione tra lettore e protagonista "visualizzato" abbiano alterato questa dinamica?

No. Anche perché il fumetto non è una versione disegnata del romanzo. È un’opera diversa, dove sono intervenute sensibilità differenti. Con Mutti non mi sono mai posto il problema di come avrebbe disegnato Giorgio Pellegrini perché il personaggio è suo e solo suo. L’attore Alessio Boni lo interpreterà nel film di Soavi, anche in quel caso è giusto che Boni crei il “suo” personaggio. Quando scrivo una storia, non mi dilungo mai a tratteggiare il personaggio proprio per dare la possibilità al lettore di immaginarselo come vuole. Lo stesso vale per gli artisti che decidono poi di maneggiarlo. Quello che per me è importante è il senso della storia.

E il lavoro con Davide Palumbo su "L'ultimo treno"? Vuoi parlarcene?

Un lavoro molto importante. Giuseppe Palumbo è straordinario e ha creato un personaggio molto bello, ricavato dalla memoria (sua e dell’antifranchismo). La storia poi è ben disegnata e ha una sceneggiatura molto legata all’epoca e ai luoghi.

Che tipo di lettore sei? Cosa consiglieresti ai lettori di ThrillerMagazine?

Onnivoro e confuso. Oggi consiglierei Un cuore muto di Sergio Pent, Sunset Limited di Burke e Mr. Paradise di Leonard.

Progetti futuri?

Televisione di qualità. Tre anni, tre romanzi. Fumetti e teatro.

(Intervista realizzata con la collaborazione di Ivano Gorzanelli e Pierpaolo Ascari)