Il tuo ultimo romanzo, “Quella vecchia storia”, è un intreccio di storie che risalgono al tempo della guerra e degli anni immediatamente successivi alla caduta del regime fascista. Tante storie quanti sono i personaggi principali. Come costruisci le tue trame molto complesse ma al tempo stesso perfettamente controllate?

Ti ringrazio per il complimento! Riuscire a riannodare tutti i fili, alla fine di un romanzo, senza tradire il lettore o lasciarlo “appeso”, è senz’altro la mia maggiore preoccupazione. Stavolta, poi, come giustamente dici tu, ogni personaggio aveva la propria storia, parallela a quelle degli altri, che poi dovevanounirsi senza contraddizioni nel finale. Il quale, fra l’altro, è decisamente atipico… Ma non possiamo dire altro, per non rovinare la sorpresa ai lettori.

La costruzione di un romanzo come “Quella vecchia storia” deve seguire due strade, apparentemente antitetiche. Occorre partire da un’idea molto chiara e particolareggiata di quello che è successo prima della pagina d’inizio: io scrivo di solito un testo a mio uso e consumo, che intitolo “come sono andate le cose”. Dopo, però, deve subentrare una scrittura improvvisata, direi quasi automatica, in cui i personaggi portano la storia un po’ dove vogliono loro, a tutto vantaggio delle sorprese (anche per me!) e dei colpi di scena. Alcuni personaggi, in questo romanzo, non sono stati nemmeno progettati, ma sono apparsi davanti ai miei occhi come per incanto, durante la narrazione.

Un aspetto che colpisce nei tuoi romanzi è la profonda e capillare documentazione storica, intendendo della grande Storia ma anche delle piccole storie quotidiane. Come ti documenti?

Il lavoro di documentazione è essenziale, soprattutto per me: io devo credere di essere Bruno Arcieri, in quel luogo e in quell’anno, perché la narrazione non suoni falsa. Durante la scrittura di “Quella vecchia storia”, com’è accaduto per tutti gli altri romanzi, io credevo veramente di essere a Firenze e a Milano nell’aprile del 1970. La documentazione è basata sui libri, sui giornali, sulle testimonianze orali, oggi anche su Internet. Fondamentale è diventato uno strumento qualeGoogle Maps, come ben sanno, ma non sempre confessano, tutti i miei colleghi scrittori. Però il ruolo centrale è sempre giocato dalla pura invenzione. A volte si è più spontanei, descrivendo un’epoca e unluogo che non si conoscono, quando si inventa di sana pianta, invecediobbedireallo scrupolo del ricercatore.

È però fondamentale che il lavoro di documentazione, che in certi casi ha richiesto mesi, non appesantisca la vicenda. Il lettore non deve sentirsi a lezione, tutt’altro! Deve divertirsi, partecipare alle ansie e alle gioie dei personaggi, ritrovarsi quasi magicamentein luoghi e tempi molto diversi dai nostri.

Bruno Arcieri e il suo ex braccio destro Daniele: una strana coppia. Come dire che la legalità e i traffici sottobanco più o meno sporchi vanno a braccetto. Come nasce la contraddittoria figura di Daniele?

Daniele è nato esattamente per il motivo che dici tu: avevo bisogno di una figura “grigia”, che non esitasse un istante a sporcarsi le mani. Un personaggio mal-pensante, politicamente scorretto, maestro nell’arte di arrangiarsi… In altre parole, Daniele è l’identikit dell’anti-Arcieri. I dueformano una coppia perfetta, perché si completano e provano, uno per l’altro, una profonda e misteriosa attrazione, che fra l’altro turba un po’ lo stesso Bruno. Daniele èla mia risposta alle semplificazioni che molti accettano, nel mondo della letteratura di genere, riguardo alla Storia, alla politica, all’animo profondo dei personaggi e alle loro pulsioni.La vita, le vicende degli uomini e delle donne, sono complicate e contraddittorie.

La misteriosa figura della ex spia Nanette è totalmente inventata o ti sei ispirato a donne realmente esistite?

Nanette, come Daniele, è un po’la negazione della manichea e troppofacile divisione tra buoni-buoni e cattivi-cattivi. È una ex prostituta d’alto bordo che non è mai stata felice del suo ruolo, che non è rimasta affatto candida, ma anzi si è bruciata le ali. Ha vissuto in un mondo spietato, profondamente maschilista, ed è stata sfruttata da tutti, forse soprattutto dallo stesso Arcieri. Non è ispirata a una figura in particolare, ma a tutto un mondo di dark ladies che inizia con la Dragon Lady di Milton Caniff, il più bel fumetto degli anni Trenta, e attraversa cinema e letteratura, soprattutto americana. Ho la presunzione di aver preso Nanette da quella fetta di immaginario esotico e di averla immersa in storie più realistiche, rendendolail perfetto contraltare di Elena Contini e della dolce Marie, ovvero la prima e l’ultima donna di Bruno.

“Quella vecchia storia” contiene delle domande universalicirca la responsabilità di azioni che hanno dato origine a conseguenze talvolta irreparabili nelle vite di altri. Da qui alla colpa individuale e collettiva il passo è breve. È molto coraggioso da parte di un autore di narrativa “di evasione”, per usare una definizione decisamente datata, trattare temi così forti.

Ti ringrazio. Per quanto ami molto il genere, negli ultimi tempi i miei romanzi hanno iniziato a superare i confini tra “giallo”, “spionaggio”, “avventura” e altri tradizionali filoni, mischiandoli allegramente tra loro. Ebbene, confesso che stavolta ho tentato di fare un passo ulteriore,ovvero scrivere un romanzo-romanzo,sfruttando la struttura drammatica di un noir. Non sta certo a me dire se ci sono riuscito, ma le tue parole mi confortano molto! “Quella vecchia storia” è basata esattamente sul tema che hai individuato. Ti dirò che nei miei ultimi romanzi ho sempre cercato di affrontare un tema specifico, sul quale imperniare tutta la vicenda, superando la dittatura dellatrama. La cosiddetta “evasione” è comunque un concetto molto opinabile: si può scrivere un romanzo, o girare un film, che intrattenga ma allo stesso tempo che abbia più livelli di lettura. Abbiamo straordinari esempi, da Dumas a Le Carré.

Arcieri, uomo delle istituzioni e della legalità, sente che l’idea diGiustizia che ha perseguito per tutta la vita attraverso l’applicazione delle leggi dello Stato è parziale perché non tiene conto dell’imperfezione della natura umana.
Nella narrativa di genere poliziesco classico di solito i grandi temi sono sfumati: è sufficiente che il colpevole sia assicurato alla giustizia e che l’ordine sociale sia ristabilito. Nei tuoi romanzi l’ordine è soltanto apparentemente ristabilito e il crimine riflette le contraddizioni della storia e degli uomini.

È esattamente così, quanto meno nelle mie intenzioni. Arcieri ha capito che la Giustizia è un mito e che l’animo umano è governato da quella complessità e contraddittorietà di cui dicevo all’inizio. Nulla si risolve davvero, le scelte dei protagonisti non modificano le loro sorti, il caso governa ogni cosa. In “Quella vecchia storia”, ogni singola vicenda dei protagonisti è come oppressa, schiacciata dal passato che li perseguita e dal quale non è possibile liberarsi. Nulla di nuovo, naturalmente: è la condizione umana.

La musica è presente in tutti i tuoi romanzi: dal jazz che piace tanto al colonnello alla musica dei giovani degli anni Settanta.

Nei miei romanzi non posso fare a meno della “colonna sonora”, e mi auguro che anche i lettori che non hanno familiarità con i brani citati, colgano ugualmente il ritmo, la musicalità che cerco di infondere in ogni avventura di Bruno Arcieri. All’inizio, i suoi gusti musicali erano esclusivamente jazzistici, poi, con “Il ritorno del colonnello Arcieri”, sono entrati di prepotenza il Pop, il Rock e con l’ultimo romanzo, anche musiche più avanzate. Mi sono spesso chiesto se non fosse troppo improbabile che un uomo di oltre sessant’anni, all’epoca della rivoluzione musicale del 1968, riuscisse adaccoglierela novità, così come entrava in comunicazione coi giovani, senza rifiutarli. Io non ci sarei riuscito, ma Arcieri è un personaggio molto migliore del suo autore…

Hai dedicato il romanzo ad Alberto Eva, scrittore fiorentino scomparso di recente.

Alberto Eva è stato un uomo coltissimo, lettore vorace e onnivoro, raffinato scrittore, amante del “giallo” ma tutt’altro che appiattito sul genere. I suoi romanzi e racconti hanno aperto la strada a tutti noi. Negli ultimi anni la nostra amicizia si è fatta più profonda, e Alberto mi ha dato un grande aiuto con la revisione di romanzi quali “Il ragazzo inglese” e “La lunga notte”, a cui tengo moltissimo. È una grande perdita, e mi auguro che i suoi inediti, che erano in attesa di pubblicazione, vedano presto la luce.

Come sempre coloratissima l’illustrazione in copertina di Francesco Chiacchio.

Le copertine di Francesco sono un grande valore aggiunto. Nascono da lunghe chiacchierate davanti a una pizza e a una birra, e rispecchiano sempre il tono, l’accordo musicale che caratterizza ogni romanzo. Ormai sono un’autentica piccola galleria d’arte, e scherzando (ma non troppo) dico sempre che i romanzi del ciclo di Bruno Arcieri meritano di essere acquistati proprio per le splendide copertine. Poi, volendo, all’interno c’è anche un romanzo…

Un duo vincente il vostro: copertine che attraggono subito l’attenzione e all’interno storie che catturano il lettore tanto che, arrivati in fondo, aspettiamo la prossima avventura da vivere insieme ai tuoi personaggi. Grazie.

Grazie a te, Susanna, e a tutti i lettori!