Sulla quarta di copertina di questo romanzo l’editore non ha saputo far meglio che citare un giudizio del tedesco “Die Welt” che accomuna Arnaldur Indriđason a Mankell.

Troppo facile. Se il paragone vale per suggerire un analogo livello letterario, possiamo essere d’accordo e anche noi d’altra parte l’abbiamo fatto appena letto Sotto la città, il primo romanzo dello scrittore islandese tradotto in Italia. Ma per il resto ben più pesanti sono le differenze.

Mankell costruisce romanzi poderosi (e talvolta ponderosi) che si affidano alla lenta, meticolosa accumulazione di materiale: sociale, poliziesco, esistenziale. Indriđason pur costruendo anche lui il noir attorno a un problema sociale assai sentito nell’Islanda in cui vive, va avanti puntando più sull’atmosfera, sulle tonalità cupe dei paesaggi e delle vite spezzate che racconta.

L’eroe di Mankell, Wallander, pur con un matrimonio fallito alle spalle, un rapporto problematico con la figlia e uno altrettanto spinoso col padre, riesce in parte a recuperare il terreno perduto coi familiari e anche a tentare di ricostruire una vita sentimentale accanto a una donna.

Erlendur (che in islandese significa “straniero”), il poliziotto di Indriđason, ha rotto tutti i ponti con la moglie che lo odia (aspetto sottolineato in questo romanzo), non riesce ancora a recuperare l’affetto con la figlia Eva Lind (qui assistita durante il coma nella quale è caduta dopo aver perso il figlio) ed è irrimediabilmente solo.

Nel lavoro infine Wallander, pur non disdegnando azioni individuali, è il coordinatore di un poderoso lavoro di gruppo e anzi molte pagine sono spese (talvolta, per il lettore non svedese, inutilmente) a riflettere sulla professione del poliziotto; Erlendur è invece un cane sciolto, coadiuvato sì dall’elegantone Sigurđur Óli e dalla romantica Elínborg, ma senza che la sua sostanziale asocialità da private eye americano venga intaccata.

Ristabilite dunque le distanze col (presunto) modello, occorre comunque dire che La signora in verde, quarto romanzo della serie che è giunta a otto titoli, è un ottimo e intrigante noir: anche perché il suo fascino è quasi totalmente scisso dall’indagine.

La miscela è affascinante, specie per noi lettori mediterranei: un serio problema sociale (la violenza su donne e bambini in un paese nordico che siamo solito immaginare all’avanguardia su queste problematiche); un periodo storico (la Seconda Guerra Mondiale) visto da un’ottica decentrata e innovativa (l’Islanda retrovia degli anglo-americani); un “cold case” dei giorni nostri con un antico scheletro ritrovato sulle colline attorno a Reykjavík (che da tempo hanno ospitato l’esplosione urbana della capitale islandese); un dolorosissimo caso personale per il detective (la figlia in coma all’ospedale con la madre nemica e il fratello assente e indifferente).

Così Indriđason, giocando abilmente sui due livelli cronologici della vicenda (il passato con la storia di violenza di Grímur, Margrét e dei loro tre sfortunati figli; il presente con l’indagine sullo scheletro), le due dimensioni esistenziali di Erlendur (quella pubblica dell’indagine e quella privata della figlia in rianimazione) e le due piste dell’inchiesta (la misteriosa scomparsa della fidanzata di Benjamín, padrone di casa di Grímur, e la storia della famiglia maledetta, appunto), costruisce un noir talmente impeccabile nella gradazione dell’atmosfera da potersi permettere di far raccontare la soluzione dai protagonisti indagati anziché da Erlendur: il quale, assieme ai colleghi, ha avuto nella vicenda il ruolo piuttosto da maieutico che di detective o addirittura di demiurgo.

E poi, sullo sfondo, interessanti anche se angoscianti notazioni sulla civiltà islandese del recente passato: capace di condannare una ragazza per una sua relazione extramatrimoniale; spesso insensibile al problema dei disabili; irrazionale al punto di temere il passaggio della cometa di Halley come se annunciasse la fine del mondo.

Nonostante ciò il colpo di scena finale non manca; né il lettore rimane deluso dalla progressiva convergenza dei vari piani sfalsati della storia. Una bella prova insomma: ancora una volta alcune ore di lettura spese bene.

 

Voto: 8