Per chi ama il gusto dei contrasti forti non c’è nulla di meglio che immergersi, in piena estate mediterranea, nella lettura di un noir nordico, meglio se attraversato da maltempo e malinconie a noi di solito sconosciute e quindi, appunto per questo, esotiche e affascinanti.

Potrebbe sembrare, a una lettura superficiale, questo il caso di Sotto la città di Arnaldur Indriđason, ambientato in un’insolita (letterariamente parlando) Islanda (nella capitale Reykjavík e nei dintorni) nel bel mezzo di un buio e piovosissimo autunno subpolare. Ma appena la lettura procede ci accorgiamo che, come molto spesso accade nel noir contemporaneo, lo schema dell’inchiesta è solo il pretesto per avvicinare il lettore alla realtà di un’isola così lontana dagli stereotipi offerti da sbiaditi ricordi scolastici o da fuorvianti offerte di agenzie di viaggi.

Niente folklore dunque, niente colore locale, ma una società apparentemente tranquilla e prevedibile che cova al suo interno pericolosi virus delinquenziali. La morte quindi di un vecchio ex camionista permette di scendere – letteralmente, come capirà il lettore addentrandosi nella vicenda – al di sotto della superficie delle cose e scoprire verminai inimmaginabili anche ai navigati investigatori della capitale. Il tutto favorito da una secolare endogamia che non ha permesso, se non in misura inferiore al normale, il necessario ricambio genetico della popolazione.

Malattie ereditarie, violenza individuale, familiare e di gruppo, “machismo” quasi impensabile a quelle latitudini si mescolano in un’infernale miscela in cui il trio degli investigatori (due uomini e una donna) faticano a districarsi. Mentre l’aitante Sigurđur Óli e la bella Elínborg restano un po’ sullo sfondo, anche se l’autore cerca di delinearne sommariamente le psicologie, il cinquantenne Erlendur (quasi sempre chiamato con il solo nome di battesimo anche se il suo cognome, come apprendiamo dall’esergo, è Sveinsson) dispiega tutta la sua umanità nel sapiente alternarsi di investigazione e vita privata.

Mentre sul lavoro mostra per intero le sue capacità, pur non essendo un fanatico delle ultime novità in fatto di criminologia, sul versante privato fa intravedere quelle crepe esistenziali che lo rendono assai più simpatico al lettore: reduce da un brutto divorzio, ha due figli di cui una (Eva Lind) drogata ma sulla via della redenzione dopo essere rimasta incinta e uno (Sindri Snær, che non appare mai nel romanzo) alcolizzato in fase di disintossicazione. Padre non esemplare (e di questo sono buoni testimoni la sua coscienza e il burrascoso rapporto con la figlia), uomo sostanzialmente privo di affetti (se si esclude l’ex collega Marion Briem), cagionevole di salute (fuma troppo, mangia male e lo perseguita un preoccupante dolore al petto), va avanti nella sua inchiesta senza moralismi, eroismi o empiti missionari, consapevole che il dovere di trovare il responsabile del delitto non significa individuare un colpevole tout court ma forse una nuova vittima.

Terzo di sei romanzi tra il 1997 e il 2004 secondo l’informato ma non sempre preciso sito www.krimi-couch.de (l’investigatore è infatti un agente e non un commissario e si chiama Erlendur Sveinsson e non Erlendur Reihe), Sotto la città ci regala atmosfere insolite ma non esotiche, un cupo autunno nordico che non è solo meteorologico ma anche, e soprattutto, interiore, offrendoci il ritratto di una società che, ahimé, si è evoluta e, se vogliamo, globalizzata anche sul versante delittuoso.

Una buona prova, in attesa di conferme con la traduzione delle altre avventure del nostro stropicciato Erlendur.

Che sia lui l’erede di quel commissario Wallander dello svedese Mankell giunto ormai alla fine della sua carriera letteraria?

 

Voto: 7