Un libro di una intensità tale da togliere il fiato per le emozioni che sa trasmettere, per il senso di angoscia e di sfiducia nell'animale Uomo che si imprime nella coscienza come un marchio di fuoco, e che tuttavia ti si avvinghia stretto, non permettendoti di lasciarlo solo. 

350 infuocate pagine che volano via rapide e che alla fine regalano uno dei più bei noir d’ogni tempo. James Ellroy è un mostro di bravura: ci racconta una storia paurosamente complessa e completa, con un filo di eventi realmente accaduti (come l'assassinio della Dalia Nera alias Elizabeth Short) a tenere assieme la sua fantasia narrativa, che per la particolare natura e bravura dello scrittore è quanto di più verosimile la letteratura di genere possa offrire.

Ellroy, lo ricordiamo, è stato un delinquente vero. Un individuo con turbe paurose, con vuoti esistenziali angoscianti, con una vita vissuta oltre i confini dell'onore. Questa sua “conoscenza” è lampante, nella visione (ma forse sarebbe più giusto dire nella rappresentazione) della vita e della società della Los Angeles del '40. Un mondo malato, agghiacciante, raccapricciante, proprio come questo romanzo, vera icona di un genere, il noir poliziesco, che difficilmente potrà offrire qualcosa di superiore. Sì, perché se consideriamo che Dalia Nera è stato scritto nel 1987, allora viene da pensare che tutto discenda o derivi da Ellroy. Ne esce ridimensionato anche il grande Michael Connelly, che a posteriori si può dire deve quasi tutto a questo genio.

Stile narrativo impeccabile, buona inventiva, intreccio senza soluzione di continuità, conoscenza precisa di luoghi e procedure, rigorosità formale. Tutto questo è Connelly, ma tutto questo lo era Ellroy 5-6 anni prima; con in più la capacità di rappresentare in modo spietato e verosimile un Male profondo che attanaglia ogni attore della vicenda, protagonista e no.

Un'ondata gigantesca di perversioni, violenze morali e fisiche, arrivismo, che sommerge ogni cosa, ogni purezza di sentimento, ogni refolo di umanità. In tutto il libro c'è UN SOLO personaggio positivo. Ed Ellroy è talmente bravo che questo particolare così eclatante, così assurdo, è reso perfettamente "normale". Perchè questa storia maledetta, questa Dalia Nera, pseudo-attricetta così inutile e così sconvolgente per tutti, lascia dietro sé un'intera città squassata nelle fondamenta e anche il lettore ne viene travolto. In modo totale.

Seguiremo Bucky Bleichert, splendido sofferto protagonista, in una epopea di drammi, colpi bassi, sofferenze estreme, con l'ombra sorridente macchiata di sangue della ragazza di facili costumi. Lo faremo con la lineare narrazione in prima persona del grande scrittore americano, che mai indulge a lirismi meditativi ma che sa colpire ugualmente le corde dei sentimenti. Il viaggio non sarà facile, e sarà lunghissimo. Si, perchè la fine sembra non arrivare mai, ad un certo punto... ad ogni capitolo una rivelazione, uno shock.

Ci si fermerà esausti, al termine della corsa. L'ottovolante Ellroy strapazza quel poco di anima candida che ancora ci resta, ma girando l'ultima di copertina non si potrà dire altro che: "Grazie davvero, James."