Puntuale come la morte e le tasse (ma molto più gradevole) ritorna il nuovo romanzo scritto dall'autrice belga di culto Amélie Nothomb, pubblicato in Italia da Voland.

La storia è meno ironica delle prove precedenti, se possibile ancora più amara e cinica, improntata al disgusto verso il mondo attuale dominato dalla televisione, dall'ipocrisia e dai reality show.

Ed è proprio un reality show la base di partenza di questo breve romanzo. La nazione infatti ha un nuovo programma da seguire: si chiama Concentramento ed è proprio quello che il nome lascia intendere. Un campo di concentramento controllato dalle telecamere ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette ogni settimana. Uno spettacolo dove solo gli aguzzini, i kapò e i carcerieri sono stati selezionati tramite provini in tutta la nazione; i concorrenti veri e propri invece, gli internati, sono stati rastrellati a sorpresa e a loro insaputa direttamente nelle strade delle grandi città. La società grida la sua condanna di fronte a un'idea del genere, ma è la stessa società che, una volta in salotto, sintonizza il televisore su Concentramento e non si perde una sola puntata del reality. Ovviamente per criticarlo e indignarsi; ovviamente per sparare a zero le proprie cartucce di benpensanti contro tutti gli altri che guardano un programma del genere. Dico io, come si fa a tollerare una cosa del genere, eh, signora mia?

Acido solforico è un romanzo che ha l'andamento di una favola nerissima, e che - a dispetto dell'ambientazione fin qui descritta - non vuole essere una critica alla società della televisione e ai meccanismi dei reality show, bensì alla società dell'indifferenza: quella stessa indifferenza che rese possibili i campi di concentramento che hanno funestato la storia del secolo scorso. La Nothomb è infatti più interessata a descrivere i complessi rapporti che si sviluppano tra i prigionieri e i loro aguzzini, e in particolare il tentativo della protagonista, Pannonique, di far emergere anche in una situazione così agghiacciante l'unica cosa in grado di far restare umani i prigionieri: la speranza. Un cammino arduo, costellato di errori e di ingenuità, ma in fondo il solo possibile per Pannonique.

Un romanzo asciutto, teso, vibrante, senza una parola di troppo, in cui non bisogna cercare più di quanto vi si trova. Acido solforico non è un libro distopico alla 1984, ma una fiaba moderna che punta il dito contro ogni lettore che intenda lasciarsi mettere in gioco e gli domanda, con estrema serietà: "tu come ti saresti comportato?". Una domanda che l'Olocausto e i genocidi del Novecento hanno già posto in abbondanza, ma a cui non si finisce mai di rispondere, e che è bene tenere viva. Grazie, Amélie.