Nel giugno del 1998 il gruppo rock dei CSI, di cui Massimo Zamboni era chitarrista, tenne due concerti nella città bosniaca di Mostar dopo una serie interminabile di peripezie e soprattutto dopo un incredibile viluppo di problemi politico-etnici. Ma non era la prima esperienza di Zamboni tra le macerie di zone devastate dalla guerra: come Mostar ci sono state anche Beirut e la Berlino del Muro. I ricordi dei suoi "dopoguerra" sono raccolti nel volume I miei dopoguerra (Mondadori), un diario che racconta la tragedia quotidiana e la speranza dei luoghi più martoriati della storia dell'ultimo scorcio del Novecento. E Massimo Zamboni ci ha raccontato questa sua esperienza di visitatore di luoghi mutati e sopravvissuti nel tempo in un fuori onda di  Tutti i colori del giallo, dove ha anche parlato di altri suoi progetti presenti, passati e futuri. Scoprirete un musicista, un appassionato narratore, un personaggio che ha il rock nelle vene.

Quand'è che ti sei scoperto scrittore?

La mia scrittura nasce dallo spiazzamento, dallo scardinamento. E' la scrittura dell'in/sicurezza, su cui sento la necessità di fondare un ordine che si rivela. La Mongolia, i vuoti di quella Mongolia così densamente spopolata, quelle migliaia di km in fuoristrada lungo i quali rincorrere la più semplice e difficoltosa delle verità: la nascita di una figlia. Le macerie di Berlino Beirut e Mostar, l'irrompere della storia nelle pratiche della vita. La mia Emilia Parabolica al culmine del suo ciclo vitale, quando con il ritorno del mare si ricrea il Golfo Padano, cancellando uno straordinario esperimento di socialità. Sono tutti momenti di frattura, dove la scrittura nasce dall'acqua alla gola. Lo scrittore, dalla cognizione di quella scrittura.

Che tipo di diario di viaggio era il tuo primo libro  "In Mongolia in retromarcia"?

Un viaggio a ritroso, nel luogo e nel tempo. La scoperta di condividere le medesime coordinate geografiche, il 45° parallelo. L'assumere intimamente le possibilità della creazione, in un mondo assente e assieme fortissimo, determinato dalle opposizioni: luce/buio, nascere/morire, caldo/freddo.

Silenzio/parola. Dove ogni uomo prende valore come un Adamo, nominatore e custode.

L'anno scorso ti sei reso protagonista di una singolare impresa, portare in Italia Christopher Lee a vistare i luoghi della sua terra natia fra le nebbie dell'appennino emiliano. Ci puoi raccontare cosa è successo?

Per un incrocio bizzarro, mi è capitato di scoprire che il ramo materno della famiglia di Christopher Lee era di provenienza italiana, anzi emiliana; ancora di più, reggiana. L'antichissima e nobile dinastia dei Carandini, signori del castello di Sarzano in comune di Casina, a pochi km da casa mia.

Il più celebre dei vampiri come vicino di casa... E' stato come ricongiungersi in cerchio con tutto ciò che ho letto e visto da ragazzino, quei film spaventevoli che amplificano il serbatoio delle paure... Non ci ho dormito una notte, poi non ho avuto più dubbi, mr Carandini Lee avrebbe sicuramente accettato l'invito. Per lui sarebbe stato un riappropriarsi delle proprie origini.  E così è stato. Così Casina ha un nuovo prestigioso cittadino onorario, estimatore delle bellezze dell'Appennino e della bontà del Parmigiano Reggiano; e in tanti, io tra loro, hanno fatto pace con la figura del vampiro.

E' vero che assieme a Gigi Cavalli Cocchi ti diletti a produrre uno strano  liquore?

Certo, la meravigliosa Anisetta Speciale secondo la ricetta ottocentesca di Francesco Cocchi, diffusissima e polipremiata, punto di eccellenza dell'omonima distilleria che fu costretta a chiudere la produzione una quindicina di anni orsono. Un liquore all'anice di cui non possiamo più fare a meno e che facciamo produrre da una distilleria ai confini con la Slovenia, secondo una ricetta tramandata verbalmente nei secoli. E che contiene un "secretto", il "segreto" della famiglia Cocchi, di cui l'amico Gigi, batterista con Ligabue e poi assieme con i CSI, è erede e depositario. Riproporla, anche in veste del tutto artigianale, è stato un gesto di calore verso la nostra terra e tradizioni.

Come è nata l'idea di un libro come "I miei dopoguerra" (Mondadori) e che esperienze hai  racchiuso in quel volume?

Nasce dal collegare percorsi scoordinati tra loro, Berlino Beirut Mostar, cercando di trarne delle costanti nel loro carattere di "dopoguerra". Mi sono trovato giovane nella Berlino del Muro, alla ricerca di una collocazione. Con una chitarra in mano a Mostar, assieme a CSI, assieme agli amici Radiodervish a Beirut. Sono i viaggi e le città che hanno determinato profondamente la mia vita, solo ora so vederne il filo conduttore. Ho sentito il bisogno di collocare percorsi e pensieri individuali in una prospettiva determinata dalla storia del mezzo secolo che ho conosciuto. Per imparare che la storia non solo non è maestra della vita; non è neanche bidella.

Come ti sei sentito come uomo e come musicista a muoverti in territori di guerra?

Sento l'inconciliabilità tra la sofferenza altrui e la sua rappresentazione "artistica", spesso trovo colpevole anche solo sbirciare nelle macerie altrui, da una posizione di comodo, e trarne pensieri, ispirazioni, considerazioni. Forse l'umanità sta nel sentirsi attraversati da questa frattura, accettarla nella sua scomposizione. Forse bisogna portarsi a casa parte di quelle sofferenze, assumerle in modo da dividere il carico. Ma è importante affermare che esistono altri modi e luoghi, anche irraggiungibili, a chi è costretto a vedersi soltanto in una quotidianità di guerra.

In "Emilia parabolica" (Fandango) ti sei mostrato come appassionato narratore della tua  terra, pensi di ritornare a raccontare quei luoghi?

Mi trovo a raccontare continuamente questi luoghi, anche attraverso percorsi insoliti, come l'Anisetta, come un Assessorato alla Cultura, come gestore di un Bed & Breakfast in mezzo ai boschi. Sento un legame e un debito profondo con la regione, da buon emiliano credo che la pianura padana finisca con il Po, e il Po cominci a Piacenza. E godo di una vista privilegiata: il mio ramo familiare materno viene da lungo il Po, vicino alla Brescello di Don Camillo e Peppone, il ramo paterno dal borgo più alto del crinale appenninico: questa schizofrenia mi lascia abbracciare tutta l'estensione geografica della provincia. Sono tutte istruzioni per l'uso di una terra. Mi sento come Alito, il protagonista umano di Emilia Parabolica - chè il protagonista vero è il mare - forte nell'accettare la contraddizione dell'essere insieme "tipico" e "reattivo".

Non ti manca un po' suonare con i CSI?

Mi manca la potenza del gruppo, il poter litigare con violenza e poi ritrovarsi in musica, la condivisione del progetto. La crescita assieme. Ma io so soltanto rappresentare la mia vita, e oggi la mia vita non contiene i CSI.

Come è nata la tua collaborazione con Nada e come si è sviluppata nel tempo? Vedendovi sul palco sembra che il vostro sia un matrimonio rock

consumato ormai da tempo. Come mai avete scelto la sezione ritmica degli Ustmamò per accompagnarvi live?

Nada è una cantante adulta nel senso più pieno, forte, incapace di fermarsi dove è. Ama le difficoltà, le sa affrontare... Senza conoscerla, le ho proposto di cantare il brano per me più importante di Sorella Sconfitta, Miccia prende Fuoco... L'interpretazione è risultata straordinaria, tanto da fondare la complicità di continuare a collaborare tra noi. E' una specie di "mutuo soccorso", una adesione profonda, non a caso il tour assieme si chiama idealmente L'Apertura ed è stato di recente trasposto in un cd che racchiude le emozioni delle nostre performance.

Chiamare Luca Rossi e Simone Filippi sul palco è stata una scelta del tutto naturale, essendo le persone con cui ho continuato a collaborare in questi anni. Hanno tutte le qualità che non possiedo. Assieme a Nada sto inoltre progettando il mio prossimo album. Nel disco la sua voce e la mia si alterneranno.

Hai scritto la colonna sonora di "Velocità massima", come ti trovi a

lavorare per il cinema? E' vero che stai ultimando un altro soundtrack?

Velocità Massima, Benzina, L'Orizzonte degli Eventi, ho lavorato per un po' anche a L'oscura immensità della morte (il film che Davide Ferrario doveva trarre dall'omonimo romanzo di Carlotto ma che ora per problemi di produzione è stato per ora sospeso) e al momento sono alle prese con un racconto di Giorgio Faletti che verrà proposto nella serie televisiva Crimini. Ho sempre usato la chitarra come una penna, mi sento molto più "narratore" con lo strumento che "musicista". Ho sempre pensato a comporre musica rapportandomi alle immagini piuttosto che alle note e gli accordi. Mi è capitato di musicare il collasso dei regimi socialisti, con i CCCP; la Fine della Terra, la Linea Gotica, gli spazi della Mongolia, con i CSI.

Confrontando tutto a pratiche concrete di vita, ai percorsi personali...

Arrivare al cinema era una strada naturale. E amo lavorare sotto costrizione, l'idea dell'artista libero è troppo lontana dalla mia natura, la trovo insopportabilmente noiosa. Il dispotismo della sceneggiatura, il volto degli attori, le aspirazioni del regista, anzichè restringere espandono le mie possibilità. Perchè la musica è un universo liquido,  capace di colmare tutto lo spazio che le si concede. Ma che vale e ha corpo in funzione dei limiti.

Se dovessi descrivere il tuo ptimo cd "Sorella sconfitta" come lo commenteresti?

Quello è un cd che amo, e che mi sono strappato di dosso. Vorrei risponderti con le parole della canzone omonima: "Grazie Sorella Sconfitta / mi hai dato gli occhi e rubata la voce / mi hai schiaffeggiato sull'ultima guancia / non mi restava altro da offrire". Accettare la sconfitta come sorella e compagna di strada.

Sei da poco diventato assessore, quali sono i tuoi obbiettivi?

Assessore alla Cultura e Turismo nel comune appenninico di Carpineti, dove risiedo. E' un debito di riconoscimento che ho contratto con quel territorio, con quel paesaggio che mi ospita. Lo considero come un volontariato, dunque una forma alta di rapporto tra le persone. E' faticoso, responsabilizzante, e contiene dei rischi. Ti obbliga a un confronto continuo, ad accettare alfabeti e linguaggi lontani, distanti... ma è capace di diluire l'esagerazione dell'individualità che inevitabilmente accompagna il lavoro che mi sono scelto.

E' vero che hai nel cassetto un fumetto?

Sempre con l'amico Gigi Cavalli Cocchi, ottimo disegnatore, stiamo arrivando a una Emilia a fumetti, un po' un'espansione di Emilia Parabolica con altri mezzi. Ho in mente delle tavole, non necessariamente una storia, ma grandi tavole complicate alla Yellow Kid, per questa nuova Emilia che si trova ad affrontare popoli e razze nuove, ed esaltanti in un certo senso.