La guerra mostra il suo volto come dolore, sofferenza, morte. Dolore inferto, dolore subito, soprattutto quando ci si misuri con una guerra civile come è accaduto in Italia, ed è naturale che questo fiume di sangue da placare apra la strada a uno dei moventi per eccellenza del delitto non solo letterario: la vendetta.

Si può diventare, così, "Traditori di tutti" (1966), come nell’omonimo, duro romanzo di un precursore d’eccezione, Giorgio Scerbanenco, molto vicino, nelle tematiche trattate, al più recente La primavera dei mai morti (2002) di Colaprico e Valpreda. Ma Scerbanenco coglie con sensibilità squisita anche la complessa situazione di Trieste e dei profughi dell’Est in fuga dal comunismo, individuando con eccezionale lucidità il nesso tra vecchi e nuovi odi etnico-politici che segnano, in Italia come in Europa, il passaggio dal secondo conflitto mondiale e dalla guerra di Liberazione alla Guerra Fredda, anticipando in Appuntamento a Trieste o in Anime senza cielo i problemi affrontati, ad esempio, da Veit Heinichen nel suo avvincente "I morti del Carso" (2003) o nel recente "Le lunghe ombre della morte" (2006), dove riesamina due misteriosi casi realmente accaduti nella Trieste post-bellica.

Ma è con la serie di racconti recentemente raccolta e pubblicata da Sellerio, Gli uomini ragno (2006), che Scerbanenco affronta in maniera più dura e diretta il conflitto mondiale e le sue brutalità, indicando proprio nella mostruosa natura del nazismo e dei suoi seguaci (è a loro che allude l'inquietante titolo) la causa di tante sciagure e sofferenze.

"Le ragioni del sangue", per dirla con Alessandro Gennari e col suo ottimo romanzo (1998), vengono ricostruite a posteriori e compaiono anche in molte altre opere, che non sono gialli storici veri e propri ma che attingono a storie e drammi dal nostro passato: sono esemplari, in questo senso, le spietate esecuzioni sulle quali dovrà indagare il commissario Ambrosio protagonista del Dunque morranno di Renato Olivieri (1989), che fotografa negli interni rassicuranti della buona borghesia milanese degli anni Ottanta il perdurare di sordi rancori legati alle esecuzioni di fascisti all’indomani del 25 aprile, con uno splendido epilogo finale che, non a caso, si svolge nel campo 10 del Musocco, il campo, appunto, dei caduti della RSI e simbolo di una memoria divisa anche nel dolore

Di segno opposto sarà la vendetta consumata ne Il fiume delle nebbie (2003) di Valerio Varesi, ma le variazioni sul tema sono ampie e vengono sfruttate da moltissimi autori: da Mario Coloretti a Ugo Mazzotta, da Franco Enna a Luciano Anselmi per giungere ad Alessandro Perissinotto che con Treno 8017 (2003) ci regala un romanzo amaro e malinconico, legato al disastro ferroviario di Balvano; una tragedia, nella tragedia più ampia della guerra, per la quale un misterioso giustiziere esige un tributo di sangue riparatore.

L’odio può essere gestito anche come una macabra partita a scacchi: è il caso de La variante di Luneburg (1993), di Maurizio Maurensig, dove ad affrontarsi, con pedine umane da muovere ed eliminare, sono un ebreo ed un ex ufficiale nazista. Con L'insonne (2005) di Cinzia Tani, ci troviamo al cospetto di un eccellente romanzo, ben costruito e ottimamente documentato, che punta la sua attenzione sugli esperimenti  aberranti condotti dai medici nazisti sui nomadi e sugli Ebrei, ridotti a povere cavie umane destinate, in caso di sopravvivenza, a rivivere e perpetuare l'orrore subito. Anche in questo caso, le tematiche della memoria, della vendetta e della pacificazione si inseriscono nella cornice di un'opera dalle elevate qualità letterarie, capace di generare tensione fino all'ultima pagina.

La resa dei conti non è, peraltro, una prerogativa italiana, è anzi presente ovunque il conflitto sia sfociato nella terribile realtà della guerra civile: ne troviamo traccia nel poliziesco norvegese (si pensi al recente Il pettirosso di Jo Nesbo), oppure nel polar francese, che si misura con la pagina dolorosa di Vichy: Didier Daeninckx ce ne offre un illuminante esempio con La morte non dimentica nessuno, mentre Jean Claude Schineizer, ne Le pégase du ponant, ci parla del diffuso collaborazionismo bretone legato alle aspirazioni indipendentiste. Pierre Magnan non esita ad affondare il bisturi in vicende poco chiare legate alla Liberazione nel suo Come un asino in Arcadia, ma è impossibile non citare lo straordinario Les corps noirs di Dominique Manotti o il superlativo Le spade di Roger Nimier, che si svincola dai parametri del genere e ci testimonia le vicende di un collaborazionista feroce, teso in una continua ricerca di morte, che vanno dal tentato suicidio iniziale sino allo sbandamento del collaborazionista incapace di uccidersi, in una Parigi a festa per la Liberazione. Il protagonista, François, agisce, tradisce, uccide allo scopo di annientare dei simboli, nella strenua difesa di un io che non vuole ’aderire’, votandosi a un’estetica del sacrificio vana e intimamente oscena.

Persino la Germania ha avviato una rilettura del nazismo con i romanzi di Goran Hachmeister & Richard Birkefeld, di Christian Ditfurt (Der Consul e 21 juli) e di Bernhard Schlink. In quest'ultimo caso, significativamente a indagare è un anziano ex-magistrato nazista, divenuto un attempato investigatore privato, chiamato molto spesso a fare I conti del passato (scritto con W. Popp) non solo con la propria coscienza individuale, ma anche con quella collettiva del popolo tedesco.

In Italia il dibattito politico sulla memoria storica è forte e la narrativa poliziesca non sembra chiamarsi fuori, prendendo delle posizioni anche piuttosto nette, come nel caso di Loriano Macchiavelli e del suo Un triangolo a quattro lati (1992) che si occupa del "Triangolo della morte" emiliano, per non parlare del recentissimo Tango e gli altri (2007), scritto con Guccini, romanzo corale che chiude il ciclo del maresciallo Santovito, chiamato a indagare negli anni Sessanta su un crimine consumato sull’Appennino tosco-emiliano nei giorni della Liberazione, che rischia di gettare fango sulla Resistenza.

E’ chiara la presa di posizione degli autori verso certi revisionismi, ma anche verso determinate ambiguità che rischiano di delegittimare l'importante eredità morale lasciata da un intero movimento, come traspare anche dalle opere di Vanna De Angelis, nipote del più celebre Augusto (Il caso Francesca, 1992), e Danilo Sacchi (La corriera, 2005), che attraverso vecchi diari e racconti corali ci avvicinano al cuore del problema, in un’ottica di pietà, pacificazione morale, ma soprattutto, di desiderio di autentica giustizia, lontana da ogni strumentalizzazione.

Se nel Nord queste sono le tensioni che ancora agitano gli animi, anche la realtà meridionale presentava, all'indomani del conflitto, non pochi problemi, soprattutto in relazione al riemergere di logiche mafiose favorite da alcune scelte discutibili dell’AMGOT.

E’ un Meridione ben differente dal simpatico ritratto che ce ne offre nel 1956 Sergio Donati nel suo divertente Mr. Sharkey torna a casa, che propone una galleria di gustosi bozzetti senza approfondire eccessivamente temi scomodi, ai quali accenna qua e là, facendo però soprattutto attenzione alla buona riuscita del suo esperimento narrativo, consistente nel calare un gangster di Chicago, tale Salvatore Bonanome, noto come Sharkey Bonano, in un paese dell’Italia del Sud, costringendolo a rientrare nel paese natio perché colpito da provvedimento di espulsione.

Ovviamente, il suo arrivo coincide con una misteriosa catena di omicidi legati a traffici poco chiari del tempo di guerra, e per non restare coinvolto dovrà mettersi a fare l’odiato mestiere del detective, tra scazzottate, bevute e non pochi e gustosi incidenti di percorso.

E’, piuttosto, il Meridione cupo di cui ci parla, ad esempio, Gaetano Savatteri ne La congiura dei loquaci (2000). La sera del 6 novembre 1944, il sindaco di Racalmuto viene assassinato con un colpo di pistola mentre passeggia in piazza. I carabinieri riescono ad arrestare l'omicida dopo una notte di indagini: vengono aiutati da numerose testimonianze che portano a uno zolfataio che aveva motivi di rancore contro il sindaco. Ai racalmutesi appare subito chiaro che l'assassino non è lo zolfataio, incastrato da testimonianze di gente divenuta improvvisamente loquace, ma qualcun altro che si vuole assolutamente coprire anche a costo di mandare in galera un innocente. Savatteri, basandosi su quell'antico fatto di sangue, ha scritto un romanzo non per indagare sul crimine o sull'errore giudiziario, ma per indurre ad una riflessione che coniuga efficacemente ricostruzione storica e attualità.

Il difficile reinserimento in una realtà che si sarebbe voluta differente è presente nel romanzo di Carlo Barbujani, intitolato emblematicamente Dopoguerra (2002) e ambientato nel Polesine del 1957, quando l'eco dei traumi della guerra, e i sintomi del boom economico alle porte, contribuiscono a creare un clima, civile e personale, del tutto unico. Attorno alla misteriosa scomparsa di un ex- comandante partigiano si sviluppa un affresco degli anni ’50 che ci rivela le tensioni e le difficoltà del ritorno alla vita civile di chi ha vissuto le stagioni drammatiche della guerra

Questo tema è presente anche ne Il lago di Marco Rufini (2003): ambientata nell’immediato dopoguerra, la storia si apre col ritrovamento di un cadavere irriconoscibile nel lago Trasimeno: a interrogarsi sulla sua identità non sono solo gli inquirenti, ma l’intera comunità di un villaggio di pescatori, che ha registrato, nei mesi precedenti, la scomparsa di Gaspare, un pescatore dal carattere duro e diffidente, e di suo suocero.

La vicenda si dipana attraverso ripetuti flash – back, ricordi, lettere, testimonianze, che la rendono un fatto collettivo, e la figura di Gaspare risulta sempre più centrale. Si tratta di un personaggio tormentato e ambiguo: sposatosi a causa delle forti pressioni esercitate dalla madre, parte per la guerra in Africa e viene fatto prigioniero; al ritorno, trova ad attenderlo la giovane moglie e la figlia, nata mentre lui era lontano. I dubbi sull’effettiva paternità e il vuoto lasciato dalla scomparsa della madre renderanno estremamente difficoltoso il reinserimento in seno ad una comunità dalla quale si era sempre sentito avulso. Ma la suggestione maggiore viene esercitata dalla voce dei luoghi: innanzi tutto il lago Trasimeno, eletto a luogo dell’anima e simbolo di una natura capace di elargire la vita, ma anche di esigere pesantissimi tributi; poi il deserto, le cui vaste solitudini rappresentano una via verso la comprensione e la conoscenza di sé. E proprio nel deserto si arriverà alla piena comprensione di una vicenda amara, intricata ed affascinante, che ha trovato nella guerra il suo motore inesorabile.

Difficoltà di tornare alla normalità, ma anche tempo di intrighi politici, questo dopoguerra. Lo abbiamo visto in precedenza, citando i romanzi di Gori, Lecis e Angelino, ne troviamo la puntuale conferma nel recente Scarpe rosse, tacchi a spillo di Luciano Marrocu (2004), mentre La lettera scritta con la mano sinistra da Franco Giarda (1997) ci racconta del "Vento del Nord", una stagione politica rappresentata anche come una grande scommessa esistenziale e civile, attraversata però anche da vendette, tradimenti, abiure.

Di taglio molto più cinematografico è l’avventura che coinvolge addirittura Orson Welles in Dissolvenza in nero, lo splendido romanzo del regista Davide Ferrario, recentemente ripubblicato da Frassinelli e vincitore del Premio Hemingway 1995. Nella Roma del 1947 il geniale attore americano viene coinvolto in una straordinaria girandola di colpi di scena, che lo portano a muoversi tra Roma, Venezia e la pineta di Tombolo, affiancato da una galleria di personaggi ambigui e con la comparsa di figure storiche d’eccezione quali Palmiro Togliatti, un giovane Giulio Andreotti, Lucky Luciano, Federico Fellini e infine il grande amore eternamente rincorso, Lea Padovani. Ferrario offre al lettore un noir avvincente con una ricostruzione storica inappuntabile, ma è presente anche una malinconica riflessione sull’arte e sulla vita, oltre alla rappresentazione di un’Italia uscita dalla guerra per diventare teatro di uno scontro non dichiarato, giocato spesso senza regole e con pedine antiche.

Di taglio decisamente più mainstream, ma analogamente immerse in quest’atmosfera, anche le opere collettive targate Wu Ming "54" ( 2002) e "Asce di guerra" (2000), mentre i grandi misteri come l’oro di Dongo, marginalmente sfiorato dalla produzione italiana col mediocre e allusivo L’oro del lago grande di Antonello Catalano (1997), sono stati appannaggio soprattutto degli autori stranieri, da Desmond Bagley a Timothy Holme. Un piccolo mistero nel mistero è rappresentato dal mai edito romanzo di un certo Daniel Strong, Oro rosso sangue, annunciato in catalogo da un editore romano e pubblicizzato addirittura da un sito nel quale si fa cenno ad una trama che legherebbe l’oro di Mussolini trafugato ad alcuni scandali finanziari recenti, ma il libro non ha finora visto la luce. Che l'oro di Dongo inizi a fare anche le prime vittime letterarie? Vicino a questo filone narrativo, e maggiormente aderente alla Storia, può essere considerato Folco Quilici, con i suoi thriller Alta profondità (2000), Mare rosso (2003) e La fenice del Bajkal (2005): lo scienziato Marco Arnei e il suo team indagano, nel primo caso, sulle armi segrete tedesche usate per l’affondamento della corazzata Roma, nel secondo su un sommergibile misterioso affondato negli ultimi giorni della presenza italiana in Africa Orientale, mentre nel terzo sono di scena i misteri legati al carteggio Churchill-Mussolini, che sarebbero stati inviati segretamente dal Duce in Giappone tramite l’ambasciatore Hidaka su un SM75 mai giunto a destinazione.

A questo proposito, nasce la domanda: esiste un contributo del giallo alla ricerca storica?

Due titoli sono probabilmente emblematici della possibile contiguità tra giallo e ricerca storica: il primo è senz’altro il bellissimo volume di Davide Pinardi Il partigiano e l’aviatore (2005), storia di una vera e propria inchiesta storica, condotta in maniera serrata, proprio come in un thriller, legata a due episodi reali e misteriosi: l’uccisione di un giovane partigiano per mano di altri partigiani e il ritrovamento, nel cuore del Sahara, dei resti di un aviatore italiano che non avrebbe mai dovuto essere lì. L’autore decide di indagare per ricostruire la breve vita e la tragica fine di due ragazzi morti durante la II Guerra Mondiale, scegliendo di raccontare con coraggio e un pizzico di suspense verità amare, ipocrisie condivise, complicità trasversali

Anche La banda della croce di Gian Ruggero Manzoni (2005) si ispira alla vicenda reale e documentata, sebbene poco nota e tenuta a lungo segreta, di un gruppo di epigoni del nazismo e di ex-collaborazionisti che non accetta la resa, puntando sulla presa di una narrazione dalla forte connotazione noir. Il valore dell’opera di Manzoni risiede principalmente nell’acuta indagine sulle ragioni e le radici di un fenomeno politico condannato dalla storia, ma capace di sopravvivere alla sconfitta: un viaggio nel cuore dell’Incubo sviluppato attraverso la rappresentazione quasi cinematografica delle azioni sanguinarie di uomini che incarnano i molti volti del Male.

Il contributo ala ricerca può conoscere anche risvolti concreti, come è accaduto negli USA col romanzo di Lisa Scottoline Il prezzo del silenzio (2005), che ha saputo portare all’attenzione del grande pubblico la tragedia dei diecimila italiani d’America vessati e internati durante la seconda guerra mondiale, una brutta pagina della democrazia statunitense che nel 1999 fu costretta ad ammettere le violazioni dei diritti civili compiute.

Se il valore testimoniale di un oggetto è notevole, come ci raccontano Mauceri & Casazza col loro Ego te absolvo che ripercorre le storie imbarazzanti di alcuni criminali nazisti fuggiti da Genova grazie a compiacenti coperture, il documento cartaceo può contenere insegnamenti e informazioni preziosissime: Dall’Angelo & Sorlini nel curioso racconto E per conoscenza all’assassino, contenuto nell’antologia Inverno Giallo 1996, sembrano invitarci a non smettere mai di "cercare" la verità dei documenti. Nel racconto, infatti, uno studente di Lettere, scorrendo i mattinali della Questura repubblichina di Brescia, si appassiona alle indagini riguardanti un delitto avvenuto nel 1944 e attraverso la lettura dei rapporti del commissario Antonio Varigi assiste al dipanarsi dell’inchiesta, finendo col provare simpatia per il rigoroso poliziotto, sottoposto a notevoli pressioni "dall’alto" e alle prese con un enigma estremamente complesso. Acquisendo nuovi elementi, lo studente arriverà a completare la soluzione del difficile caso che il questurino aveva risolto solo in parte. In questo originale testo, l’elemento di grande fascino è determinato dalla puntuale ricostruzione dell’atmosfera dell’epoca che gli autori riescono a far scaturire dall’esame delle carte ormai ingiallite di un vecchio archivio di polizia.

Possiamo quindi affermare che la ricerca e la memoria vengono dunque valorizzate nella loro funzione positiva e propositiva, sia come imprescindibile valore fondante dell’identità individuale e collettiva, sia come speranza per un futuro che non torni a riproporre gli orrori già vissuti.

Nel primo caso, non possiamo che assumere come paradigmatica la simpatica e umana figura del commissario Bordelli di Marco Vichi, che in un’Italia alle soglie del boom lotta con i suoi fantasmi e talvolta li affronta o li sfiora nel corso delle sue inchieste, mentre il secondo aspetto può essere apprezzato nel romanzo di Marcello Fois Sheol (1998), legato ai rigurgiti dell’antisemitismo, nei confronti dei quali la memoria assume un valore salvifico.

Con Giampaolo Simi e il suo Buio sotto la candela (1996), facciamo un passo nella direzione del ricordo come insegnamento e monito contro i rischi determinati dalla sua assenza, rischi favoriti dal tempo ma anche da inquietanti connubi, interessati a scalfire la nostra coscienza civile.

Attualità e Storia, vicenda individuale e collettiva si sovrappongono e stratificano nell’elegante romanzo di Marcello Fois Gap (1999): in una notte di nebbia, lungo la strada che congiunge Bologna a Ferrara, il Tempo sparisce, si mischiano gli anni e tre ragazzi di oggi, di ritorno da una discoteca della Riviera (anno 1995), incontrano tre ragazzi di ieri, che si stanno preparando ad un'azione partigiana (anno 1945). Forse Gap racchiude in sé, quasi simbolicamente, il valore di questo viaggio nella letteratura gialla e noir, che ci racconta le tante anime di una Nazione alle prese col proprio passato. Non cogliere questo aspetto, rifiutare aprioristicamente il contributo di riflessione offerto da queste opere, allontanare gli scrittori di gialli dal salotto buono della letteratura giudicandoli in blocco degli "enigmisti" appare, alla luce di quanto esaminato insieme, il disconoscimento di un'efficace chiave di interpretazione della contemporaneità (e non solo) di cui oggi disponiamo.

Fine