Rileggendo la prefazione che ho scritto molti anni fa per un volume di racconti di Edgar Allan Poe (Giunti editore), in occasione della fiction televisiva Racconti fantastici (1979), ispirata ai racconti del grande scrittore, ho ritrovato un ricordo che avevo seppellito nella mia memoria: quando avevo sette, otto anni mi trovavo nella casa di mio nonno in campagna, in una zona buia, perché, essendo sull’Appia Antica, zona archeologica, la luce era nelle case ma non sulla strada.

Io sentivo sempre la radio, sia per passione sia perché ancora la televisione non esisteva, dato che siamo alla fine degli anni 50.

La radio trasmetteva una serie di racconti di Edgar Allan Poe recitati dalla voce stupenda di Ubaldo Lay, attore molto bravo che poi ebbe un momento di enorme successo con la serie del tenente Sheridan.

Ebbene quella voce, incredibilmente bella e carica di mistero, che aleggiava nel buio della campagna, il fascino dei racconti con il vascello fantasma e con il crollo di antichi manieri per colpa della Morte Rossa, m’incutevano un sacro e giustificato terrore ma soprattutto crearono in me non solo una grande passione per lo scrittore ma un autentico colpo di fulmine per un genere, il giallo, e per un mezzo, la radio.

 

Da allora ho sempre amato la radio e la ho seguita in modo maniacale, attaccandomi soprattutto agli spettacoli di prosa che allora erano un punto di forza, con gli sceneggiati o con il repertorio teatrale. Credo che saranno in pochi a ricordare i gialli di Giuseppe Ciabattini che avevano come protagonista un barbone, Tresoldi, interpretato da Elio Jotta. Oppure i gialli di uno scrittore inglese, Francis Durbridge - che poi, negli anni settanta, ho adattato per la televisione - con protagonista l’investigatore Paul Temple, interpretato da un’altra voce storica, Fernando Farese. L‘amore per la radio è stato tale che nutrivo una vera passione per altre due voci storiche della radio, che erano i pilastri della compagnia stabile che trasmetteva dai mitici studi di Torino: Gino Mavara e Anna Caravaggi.

Una passione tale che quando nel 1966 – mamma mia, quanto tempo fa, ma preciso che ero quasi un bambino - mi affidarono la prima regia radiofonica, indovinate chi scelsi come protagonista? Anna Caravaggi e per la seconda regia, un racconto di Italo Svevo. L’Assassinio di Via Belpoggio - Gino Mavara. Realizzando così il mio sogno infantile di lavorare – io che li ascoltavo, rannicchiato nel buio, con gli occhi spalancati e il cuore pieno di speranza e di progetti  - con quelle voci che erano legate alla mia adolescenza, alla mia passione per la radio, al mia voglia di raccontare.

 

Continuando a lavorare come autore e come regista, ho cominciato a proporre il genere che amavo di più, il giallo, e naturalmente l’autore che tutti noi consideriamo il più grande maestro, Raymond Chandler, e che io amo d’insana passione, identica a quella che provo nei riguardi anche di Dashiell Hammett (sul quale sto scrivendo uno spettacolo teatrale ma di questo parleremo a marzo, quando lo metterò in scena a Roma).

Proposi Il Lungo Addio, forse il romanzo più bello e complesso, ne feci un adattamento in sette puntate, ciascuna di un’ora, che andavano in onda alle otto di sera il sabato, allora, 1968, serata di massimo ascolto. 

Scelsi un cast di grandi attori, stelle del teatro di allora ma ancora molto note come Arnoldo Foà che interpretava Philip Marlowe.

Un successo ma soprattutto un piacere poter tradurre in parole e in suoni (sono un appassionato di jazz e di musica da potermi definire, nei momenti di vanità, anche un esperto) le magiche atmosfere di uno scrittore che ci ha saputo raccontare un paese e ci ha dato lezioni di stile, inimitabile e, ahinoi, irraggiungibile.

Mi piacerebbe che la radio lo ritrasmettesse e per questo sto proponendo, a chi la dirige adesso, di recuperare un genere, il giallo, al quale in questo momento sono dedicate solo rubriche - ben fatte, come quella di Luca Crovi, ma sono programmi giornalistici - ed è del tutto assente il racconto, la fiction (per usare un termine di moda che non amo).

 

Dobbiamo tenere presente – e in questa rubrica lo ripeterò spesso - che il successo attuale del giallo letterario italiano ha un genitore illustre, il giallo radiofonico, per gli anni 50/70, e il giallo televisivo dagli anni settanta a oggi, essendo stato una palestra per gli autori ma soprattutto smentendo, per il successo avuto, alcuni pregiudizi che dominavano allora nel settore editoriale, riassumibili nella scarsa considerazione del pubblico italiano per la nostra casalinga ambizione e per l’inchiesta condotta dalle nostre forse dell’ordine.

Adesso possono sembrare discorsi senza senso ma se vi prendete la briga di andare a consultare le storie del giallo, potete vedere subito quanti pochi libri uscivano e con quali tirature. Anche in televisione, negli anni sessanta e settanta, i gialli di successo, anche se scritti da autori nostri e realizzati in Italia, con attori italianissimi, avevano ambientazioni straniere: Inghilterra, Usa, Francia.

Basti pensare al Nero Wolfe di Tino Buazzelli, al Maigret di Gino Cervi, al Philo Vance di Giorgio Albertazzi (scritto per la TV da me, peraltro) e solo a metà dei mitici anni settanta, si riuscì a realizzare storie di grande successo aventi come ambiente il nostro paese, come personaggi esseri molto vicini a quelli che assistevano in qualità di spettatori, come tematiche quelle che ci riguardavano da vicino e giorno per giorno.

Basti pensare al grande successo che ebbe nel 1976 Dov'è Anna? scritto da me e da Diana Crispo, che fu una specie di caposaldo per continuare a realizzare gialli che avessero sapori e contenuti nostri, nel senso migliore del termine.

 

Per tornare alla radio, nel 1972 un grande successo fu Tua per sempre Claudia, un originale radiofonico in 15 puntate trasmesso il mattino e replicato la sera. Un giallo, che scrissi in coppia con Diana Crispo - siamo una coppia nella vita ancora adesso dopo tanti anni, per merito suo ovviamente - e che si piazzò al primo posto, per quell’anno, negli indici di gradimento, ricerche che la RAI allora faceva e che forse erano più convincenti dell’attuale Auditel...

Mi ricordo che ebbe come gradimento 88% e mi pare un ottimo risultato. Confermato dal fatto che fu tradotto in francese, con il titolo di Ta Claudia pour toujours e trasmesso in Francia, Svizzera e Belgio. Come a dire che non sempre compriamo spettacoli dall’estero ma a volte li vendiamo anche. E più di quanto si creda.

 

Vi racconto una cosa divertente: visto il successo in radio, la Televisione Belga propose di farne una versione televisiva, così Diana e io la scrivemmo per la TV, spostando l’azione in Belgio. Nel 1977 uscì, realizzata da loro con attori belgi e con il titolo modificato, Signe: Ta Claudia. Una volta tanto la radio aveva insegnato qualcosa alla Tv e aveva creato un precedente. E lo stesso accadde in Italia un anno dopo, nel 1978, quando la RAI decise di trasferire in televisione il grande successo radiofonico – nel frattempo era stato replicato molte volte. Anche qui cambio di titolo più radicale, Doppia indagine,  e perciò Diana e io ci troviamo ad avere ben quattro spettacoli con titoli diversi ma che in realtà – almeno nel plot e nella struttura - sono sempre la stessa storia.  Anche questo in un certo senso è un piccolo giallo. Piacevole almeno per noi che scriviamo. Il nostro mestiere – io mi sento un artigiano che lavora per il piacere di raccontare e riesce anche a viverci con questo divertimento – in fondo non è altro che quanto facevano i nostri nonni, quando si mettevano vicino al fuoco o al camino e ci riempivano la testa di storie. Spesso paurose  ma sempre con un lieto fine.

Quando eravamo piccoli si trattava di favole, divenuti più grandi si passava al racconto di storie reali, sempre intrise di tragedie e di morte. E’ per questo che alla fine forse non ho avuto molta scelta: raccontare gialli è stato quasi un destino.

Ovviamente spero di averlo fatto bene, altrimenti la mia sarebbe Una vita sprecata.