Sono lontanissimi i tempi in cui l’Italia, le grandi città italiane così come, particolarmente, quelle di provincia, erano improponibili come teatri di gialli. I poveri autori, da Franco Enna a Ugo Moretti, da Sergio Donati a Laura Grimaldi a Franco Prattico, dovevano inventarsi degli pseudonimi anglosassoni e ambientare le loro storie negli States o, meno frequentemente perché la richiesta era soprattutto per l’hard-boiled, in Inghilterra. Oggi, invece, si può dire che il genere racconta storie la cui ambientazione ha toccato un po’ tutte le città italiane, comprese quelle della provincia più sperduta, tranquilla e insospettabile (come accade poi anche nella realtà). Ormai si potrebbe tracciare una geografia del noir italiano, e questa, anzi, potrebbe essere una idea per chi volesse divertirsi a raccontare il nostro paese attraverso questo prisma.

Con Pierluigi Porazzi siamo a Udine. Apparentemente città elegante, riservata, ospitale. E’ stata già lo sfondo del suo bel thriller d’esordio “L’ombra del falco”, adesso lo è più chiaramente nel secondo “Nemmeno il tempo di sognare”, edito come il primo da Marsilio. Tra i protagonisti ancora Alex Nero, un ex poliziotto diventato un giustiziere che agisce in proprio, in collaborazione spesso con quelle persone, poliziotti e magistrati onesti, e temuto e mal visto da quelli in odor di corruzione e di complicità con la malavita. Un personaggio, Alex Nero, sul quale pesa – ingiustamente – il sospetto che sia stato lui a uccidere moglie e figlia, ma che in realtà da quella tragedia famigliare trae la forza e la rabbia per lottare contro tutto ciò che si frappone al trionfo del Bene e della Verità.

In “Nemmeno il tempo di sognare” tutto comincia con il ritrovamento di un cadavere, quello di Saverio Riccardi, un transessuale conosciuto nel mondo della prostituzione col soprannome di Barbie. Ad essere accusato del delitto è il suo fidanzato, Stefano Sonnino, di Trieste, che in possesso della chiave dell’appartamento di Barbie è stato l’ultimo a entrare nel suo appartamento e anche a farle l’ultima telefonata. Naturalmente viene arrestato.

Le indagini partono. A condurle sono l’ispettore di polizia Raul Cavani e il magistrato Erri Martello, entrambi amici di Alex Nero, già presenti nel primo romanzo. L’idea che si fanno è che Barbie riprendeva con una telecamera nascosta gli incontri con i suoi clienti e che poi passava al ricatto di quelli importanti, uomini politici, industriali, personaggi televisivi. I quali naturalmente hanno tutti gli agganci giusti e i mezzi per frapporsi alle indagini, deviarle, e quant’altro. Si tratta di vedere quanto in tutto ciò Stefano Sonnino c’entri e, seppur estraneo ai ricatti, il suo non sia stato un gesto dettato dalla gelosia. Potrebbe davvero mettersi male per lui, che finirebbe per essere l’unico capro espiatorio di un delitto che, se portato alla luce con tutti i suoi retroscena, sconvolgerebbe la normale vita cittadina.

Ma chi trama nell’ombra non fa i conti con l’ingresso nelle indagini di Alex Nero, chiamato a intervenire dalla sorella, Annalisa, e dalla madre di Stefano Sonnino, le quali sanno che il loro congiunto a quell’ora aveva un alibi, anche se non così verificabile come elemento di prova: si trovava a mangiare una pizza e bisognerebbe che un cameriere o un cliente del locale si ricordasse di lui, cosa piuttosto improbabile.

Alex Nero, amico di vecchia data di Annalisa, prende l’impegno di verificare. E naturalmente finirà per ficcarsi in un ginepraio dal quale comunque altri usciranno con le ossa rotte. Di mezzo anche un personaggio singolare: Aiko, mezza giapponese e mezza italiana, che forse rappresenterà una svolta di vita del nostro eroe.

Seppur meno pungente de “L’ombra del falco” sul piano della “critica” politica (che era di per sé già un divertimento, quasi un volersi togliere dell’autore qualche sassolino dalla scarpa) questo secondo romanzo di Porazzi, scritto sui due tasti dell’ironia e del sentimentalismo (quando è di scena Alex Nero) non è meno avvincente di quello.