Tutto quello che in lui era esatto e statuario, in suo padre, che aveva gli stessi colori, era molle e corrotto. Brian era un uomo alto e ben costruito, ma il suo volto sfuggiva in linee deboli e la bocca era come un frutto raggrinzito, con una piega acida e sprezzante. Quando si inumidiva, diventava rossa come una bacca. L’azzurro degli occhi era sbiadito e opaco, i capelli spenti come paglia, la pelle ingrigita, macchiata e arrossata. Eppure, c’era in lui una forza. Diversa da quella di Kveld, ma era una forza: temibile in quanto insidiosa.

Brian di Borg era il sacerdote cristiano della comunità di Borg, direttamente dipendente dall’autorità della prima sede episcopale islandese di Skálholt.

La famiglia di Brian era imparentata con i primi coloni venuti sull’isola prima dei vichinghi, quei monaci irlandesi che avevano cercato la pace e la vicinanza a Dio in una terra dove gli elementi si scontrano in una lotta estrema. Poi, nell’anno 874 dall’incarnazione del Signore, era accaduto per quei religiosi qualcosa di simile e perfino peggiore dell’Hekla: l’esploratore e navigatore Ingólfur Arnarson era sbarcato sulle coste meridionali. Dopo di lui erano arrivati, a orde, i godhar vichinghi, con le loro famiglie, con tutte le loro genti, servi, mandrie e beni. Cercavano scampo dall’oppressione e dalle ruberie della casa regnante norvegese. I monaci erano fuggiti davanti ai diavoli pagani.

Nell’anno mille tutti i godhar riuniti nell’Althing, il parlamento che si radunava ogni decima settimana d’estate, avevano deciso di consentire l’introduzione sull’isola della fede cristiana, con i suoi templi e i suoi sacerdoti. Allora erano tornati i preti irlandesi.

Brian era giunto a Borg all’età di vent’anni, rivendicando proprietà che gli antichi monaci avevano abbandonato e successivamente trasmesso in eredità a lui, il loro ultimo congiunto vivente. Non aveva titoli e documenti sufficienti a comprovare il suo diritto, ma nonostante questo era riuscito a imporlo. Aveva edificato la sua chiesa ed esercitava un dominio oscuro su Borg, un dominio sotterraneo come quello delle gallerie di lava che scorrevano sotto la terra. Anche il godhar Yngvar Borg, che discendeva dalla più potente famiglia vichinga del villaggio, lo temeva, lo blandiva e lo assecondava.

Il potere di Brian non aveva a che fare con le terre, le mandrie o ogni altra forma di ricchezza, per quanto le ricchezze non gli mancassero di certo, ma con le parole, o i segni, come avrebbe detto la völva. Potere sulle anime. Qualcosa di molto simile alla commozione e al terrore che coglieva quando si ascoltavano le saghe, ma senza gioia. Brian teneva in pugno le anime di Borg attraverso l’infamia, il vizio e l’oscenità. Kveld vedeva i penitenti andare alla confessione con i volti colpevoli, gli occhi sfuggenti e le bocche tremanti, e venire via sollevati e contenti. Brian aveva portato a Borg il rimorso e la piaga purulenta della coscienza.

Come figlio di Brian, Kveld doveva ereditare il mestiere del padre ed essere suo successore. Non sarebbe diventato pescatore, agricoltore o artigiano, ma prete. Come allievo destinato al sacerdozio assisteva Brian durante i riti e le funzioni. Fin dove poteva risalire la sua memoria era stato presente a ogni nascita, ogni matrimonio e funerale di Borg.

Kveld era istruito: sapeva leggere e scrivere, e aveva imparato l’inglese e un po’ di latino. Aveva accesso ai libri della canonica, le antiche pergamene che i monaci avevano copiato e conservato durante la loro permanenza sull’isola, e vi attingeva con passione, avido di sapere. Conosceva la letteratura cristiana, ma aveva letto anche notizie su Platone, Aristotele e altri autori pagani. E trattati sulla natura e sulla medicina, libri di storia e resoconti di viaggi, vite dei santi e opere di quegli scrittori cristiani che, come Origene, erano stati ritenuti eretici dalla Chiesa, ma avevano incontrato il favore degli eruditi teologi delle isole britanniche. Naturalmente Kveld aveva avuto accesso anche ai libri proibiti. Libri profani condannati dalla Chiesa, libri di magia bianca e nera e libri che illustravano gli svariati oggetti, posizioni e modi che gli esseri umani inventano per appagare la loro lussuria. Erano i religiosi più osservanti a raccogliere e custodire in maggior numero i libri che non dovevano essere letti.

Suo padre vedeva con favore quelle lunghe giornate di studio trascorse nella biblioteca, ritenendo che lo allontanassero dalle sue radici.