Lo scrittore garfagnino Simone Togneri, dopo anni durante i quali la scrittura ha ceduto il passo alla grafica, torna in libreria con Giallo hotel Firenze.  Come si deduce dal sottotitolo, Un’indagine amara per il commissario Mezzanotte, il romanzo ha la struttura di un poliziesco con una forte connotazione sociale. Un paese della provincia di Firenze situato vicino all’Arno, due persone uccise in casa senza un movente plausibile, un giovanissimo e gigantesco migrante che dopo aver distrutto alcuni uffici della questura si addormenta in un sonno comatoso. E ancora: un incidente d’auto dagli aspetti misteriosi in cui perde la vita un anziano al ritorno da una allegra serata in compagnia della moglie e di una coppi di amici. L’ex poliziotto-pittore, Simone Renoir che lasciata la polizia per vivere esercita il mestiere di imbianchino, cade da un’impalcatura e rischia di morire. Gli ingredienti della trama sono tanti e ben condotti. Il solitario commissario Mezzanotte, nelle acque agitate dei suoi tormenti personali, si muove con ostinazione ed esperienza fino a far emergere le tante tessere del mosaico in cui si legge la soluzione del giallo e, al tempo stesso, gli aspetti più oscuri e nascosti della nostra società. Dal lavoro nero, pericoloso e malpagato, alla condizione degli “invisibili” che vivono nelle nostre città.

Togneri nel disegnare personaggi, ambientazioni e storie ci mette la sua sensibilità e le sue conoscenze: la profonda conoscenza del bosco e delle creature che lo abitano, della città di Firenze dove ha studiato e della vita di paese, lo studio del disegno e della pittura. Il risultato è una storia che il lettore percepisce come più “vera” di tante altre.

“La città vista dall’alto pareva una macchia di tempera rossa asciugata dal tempo. I tetti degli edifici e delle basiliche erano scaglie di colore squadrato, separate le une dalle altre dalle fenditure nette delle strade, dei vicoli, dei cortili interni e delle piazze. I parci e i giardini pubblici erano spazi vuoti dove la tempera, staccandosi, aveva lasciato a vista lo strato verdastro del fondo. Firenze era una goccia rossa colata da un enorme pennello.” (p. 9)