Kveld si fece di roccia. Tutti i suoi muscoli e la sua volontà si tesero per pietrificarsi. Ci fu un silenzio pesante, poi di nuovo la voce del prete, stavolta rauca e smorzata.

«Metti la mano sull’altare.»

Kveld si aspettava di essere battuto: suo padre lo faceva in modo da procurargli molto dolore e lasciarlo coperto di lividi, senza mettere tuttavia in pericolo la sua vita. Ma adesso Brian doveva avere in mente un altro tipo di castigo. Kveld si dispose a sopportarlo, qualunque fosse. Tese il braccio e pose il pugno che stringeva la moneta sull’altare, le nocche rivolte verso l’alto.

Il prete alzò il bastone.

Il primo colpo, durissimo, vibrato con tutta la forza, spezzò le prime due falangi di Kveld. Lui riuscì a non urlare: non aveva mai emesso neppure un gemito durante le punizioni.

Il secondo colpo frantumò ancora le dita già spezzate.

Kveld chiuse gli occhi e strinse i denti. Tremava per lo sforzo di sopportare il terribile dolore che si ripercuoteva all’interno del suo corpo. Il bastone, per essere stato usato sulla sua schiena, era ben levigato, ma aveva ancora spuntoni e nodosità taglienti. Il sangue sgorgava da una ferita profonda sul dorso della mano.

Kveld non si mosse, e non aprì la mano. Brian calò un altro colpo. Questa volta si udì un suono secco, come di un ramo rotto. Gli spezzò le altre dita, colpendo e colpendo, in preda a una furia cieca, incontrollabile, simile a panico, emettendo grida stridule.

Kveld si immerse ancora più profondamente nel dolore, sembrandogli l’unico modo per tollerarlo. Urlò dentro di sé, ma dalle sue labbra non uscì nessun suono. Trafitture lancinanti di sofferenza gli colpivano il cuore, che faticava a battere. La vista gli si annebbiò e credette di morire.

Curiosamente, nel suo tormento non riusciva a pensare a nient’altro se non alla sirena che desiderava un’anima umana. Era una storia portata sull’isola da un nucleo di britanni che duecento anni prima si erano uniti ai vichinghi. Una storia vecchia, poiché si diceva che le sirene esistevano da quando il mondo era stato creato, ma anche attuale, perché aveva come protagonista un prete cristiano di un villaggio come Borg.

La sirena, che come tutti sanno è un animale per metà femmina, sale dalle profondità marine e va alla chiesa del villaggio, per chiedere la grazia divina e la salvezza. Può avere un’anima, come le creature che discendono da Adamo ed Eva? Alla sua richiesta, il prete risponde che potrà avere la grazia divina con il battesimo, ma dovrà meritarla abbracciando la fede cristiana, e vivendo in castità, povertà e obbedienza.

La sirena si spoglia dei suoi gioielli, e accetta la vita di penitenza che il prete le impone. Ma le rinunce non sono nulla, il vero prezzo da pagare è un altro. Vivendo fra i discendenti di Adamo ed Eva conosce peccati di cui ignorava l’esistenza, e guardando nei loro cuori vede abissi che non contiene neppure il mare, e impara tutta la loro malizia e tristezza. Allora, la sirena piange amaramente, perché ha rinunciato alla felicità della sua passata condizione, alla libertà di cui godeva fra le onde, e in cambio ha avuto solo il privilegio di svuotare la latrina del prete.

Così, il giorno del suo battesimo, si strappa di dosso la tonaca sudicia e mortificante, raggiunge la scogliera e si rituffa in mare.

Ecco: la sirena ora è Kveld, e suo padre lo batte per introdurre a forza un’anima dentro di lui.

Kveld perse conoscenza per alcuni istanti. Tornò in sé accasciato sull’altare, con la guancia appoggiata alla fredda pietra liscia.

Era solo, suo padre se n’era andato.

La sua mano era un ammasso sanguinolento di carne tumefatta e ossa spezzate, ma era ancora chiusa a pugno, e ancora difendeva il suo tesoro sconosciuto. Il tabernacolo, raggiunto da uno dei colpi scriteriati di Brian, era rovesciato, e le ostie consacrate si erano sparpagliate intorno. Erano rosse del sangue di Kveld. Questo doveva aver spaventato il sacerdote, convinto forse che il corpo di Cristo fosse stato contaminato da qualche opera diabolica.

Kveld si prostrò sul pavimento ruvido di terra battuta, portando la mano martoriata al cuore. Confusamente avvertiva che un sacrificio era stato compiuto, ma quale sacrificio?

Entrava nella chiesa dalle alte finestre il sole dell’eterno giorno dell’estate islandese. La luce lo avvolse, rendendolo più piccolo e solo. Non sentiva più nulla, era come anestetizzato dal troppo dolore. La luce lo svuotava.