Ma l’Islanda, dicevano, era sorta dal mare perché altre terre erano sprofondate, e il mondo si era capovolto. Doveva la sua esistenza al Male, e aveva l’incanto di un Eden perduto. Era bellezza creata dalla tortura, dallo strazio e dalla morte seminati dall’Hekla, bellezza che poteva nuovamente essere distrutta.

Così, a Kveld pareva davvero l’ultima terra del mondo. E lui era sospeso fra paradiso e inferno.

La bellezza era di Dio o del Diavolo?

Una volta lo aveva chiesto alla völva, ma lei aveva sorriso senza rispondere.

Un raggio di sole, riflettendosi sulla campana della chiesa, lo colpì agli occhi. Per un istante non vide più nulla, solo un caos di forme indistinte. Poi, striature rosse sotto le palpebre.

Se fosse stato l’animale a cui doveva il suo nome, Kveld Úlfr, il Lupo della sera, si sarebbe messo a ululare. E poi si sarebbe rotolato a terra e avrebbe corso veramente fin dove finiva il mondo.

Kveld cominciò a scendere lungo il sentiero, diretto verso casa. Doveva arrivare prima che suo padre si mettesse a cercarlo.

Giunto alle prime case del villaggio incontrò una banda di ragazzi. Giocavano, e si esercitavano nel combattimento con spade di legno. Kveld non rallentò il passo; i ragazzi si spostarono in modo da lasciarlo passare senza smettere i loro esercizi.

«Kveld!»

Una scure gli sbarrò il cammino. La reggeva un ragazzo più grande, dal viso non ostile, anzi sorridente e incoraggiante.

Gli altri ragazzi di Borg rispettavano Kveld nonostante la sua diversità, la diversità della sua famiglia, della sua vita, e del destino diverso che sembrava segnarlo come un’unzione sacra. Lo temevano, lo sfuggivano, e non si avvicinavano mai veramente a lui, ma lo ammiravano per le sue doti naturali, perché era figlio di un uomo potente quasi quanto il godhar, e perché discendeva in linea diretta da Egill Skallagrímsson, il grande eroe delle saghe islandesi.

Nelle lunghe sere d’inverno gli abitanti dei villaggi islandesi si riunivano al caldo nella baðstofa, la fattoria del godhar, per recitare a memoria, leggere o copiare sotto dettatura le saghe. Talvolta qualcuno, toccato dallo spirito della poesia, inventava liberamente o aggiungeva elementi alla narrazione delle imprese di re, dei ed eroi. Così era detto höfundur, colui che inizia una storia. L’Islanda era Sögueyja, l’isola delle saghe, e il re di tutte le saghe era Egill Skallagrímsson, lui stesso un höfundur, o uno skáld. Un poeta.

Egill il poeta. Egill l’eroe. Egill il guerriero. Egill la bestia. Egill il pazzo. Egill lo stregone. Egill simile al dio Odino. Egill che secondo il padre di Kveld era il Diavolo.

Egill aveva visto la luce un secolo circa prima della nascita di Kveld. A tre anni possedeva già il dono della scrittura e aveva composto il suo primo poema. A sette, mentre giocava con altri ragazzi di Borg, uno di loro lo aveva gravemente offeso, schernendolo e beffandosi della sua grossa testa, che lo rendeva simile a un animale. Egill aveva preso l’ascia e l’aveva calata sulla testa del rivale, con un solo colpo dall’alto verso il basso, aprendola dal cuoio capelluto fino ai denti. Il ragazzo ucciso era crollato a terra; l’ascia era rimasta incastrata nella testa spaccata. Per estrarla, a strappi, Egill aveva sparpagliato intorno denti, frammenti di ossa e materia cerebrale, fra l’orrore degli astanti.

Egill aveva sposato la bellissima Ásgerðr Björnsdóttir, e ucciso con l’ascia durante una sfida il potente Berg-Önundr, che si era impadronito dell’eredità di lei. Aveva combattuto valorosamente e strenuamente contro i norvegesi, che minacciavano l’indipendenza della sua patria. La saga di Egill era un’interminabile storia di battaglie, vendette e lutti. Egill aveva perduto il suo figlio prediletto, Böðvar, e lo aveva sepolto sulla collina in cui erano sepolti suo padre Skalla-Grímr e suo nonno Kveld Úlfr. Infine era morto vecchio e onorato, nel suo ottantesimo anno d’età. Era stato dominato per tutta la durata della sua vita da uno spirito collerico che lo spingeva a uccidere per vendicare la più lieve offesa, o a cercare la rissa per uccidere, ma aveva salvato l’Islanda dalla dominazione straniera.

Per i ragazzi di Borg, Kveld portava con sé ovunque andasse, come un odore, le sögur, le saghe che infuocavano l’immaginazione e la facevano eruttare come lava. Era una parte di Egill redivivo, parole incarnate di un racconto di esseri simili agli dei.