Dopo aver lanciato (o comunque rilanciato a livello internazionale) il legal thriller, John Grisham ha aperto spesso parentesi sia in generi diversi sia in variazioni sul tema: con I contendenti torna all’ovile raccontando le avventure di un gruppo malassortito di avvocati che davvero nessuno vorrebbe avere come legali.

 

Oscar e Wally sono i classici azzeccagarbugli (o, come dicono in america, “inseguitori di ambulanze”): campano con quei casi di bassissimo profilo che gli studi seri rifiutano. Però quei casi così rognosi hanno persone vere dall’altra parte, gente in difficoltà, quello cioè che manca a David: il contatto umano. Questi è un avvocato di serie A che passa ogni ora della sua vita murato vivo in un prestigioso studio di lusso: guadagna cifre enormi ma impossibili da spendere, visto che è a tutti gli effetti un recluso. Un giorno cede, si ubriaca e decide di cambiare la sua vita facendosi assumere dal pessimo studio di Oscar e Wally.

Il tris di avvocati così costituito si ritrova fra le mani, grazie a Wally, un’azione collettiva contro una multinazionale farmacologica: non è neanche Davide contro Golia, bensì un filo d’erba contro l’universo! Ma quella è l’avvocatura del futuro: per evitare la cattiva pubblicità queste aziende pagano risarcimenti milionari, e questo fa sì che ogni avvocato sogni di minacciare il gigante farmacologico per fare il colpaccio. Riusciranno i tre “inseguitori di ambulanze” a gestire la titanica impresa?

 

Non esistono termini come “legge” o “giustizia” in questo romanzo: Grisham con sguardo duro ma onesto si focalizza su qualcosa che con l’etica e la deontologia professionale non c’entra davvero nulla. La corsa alle cause collettive è un male del nostro tempo, perché ignora tanto gli interessi delle vittime quanto quelli dei carnefici: non interessa a nessuno “cosa” sia successo, ma solo “quanto” ci si possa ricavare.

Con uno stile da telefilm giudiziario (impossibile, durante la lettura, non pensare ad un grande successo recente come il telefilm Damage, la cui prima stagione è tutta imperniata su una causa collettiva) l’autore si diverte sulla pelle dei suoi poveri personaggi tragicomici per mostrare un altro aspetto dell’avvocatura che non sia quello etico e deontologico.

I protagonisti sono impermeabili ai dilemmi morali perché non hanno una morale: vivono secondo le “consuetudini legali” e quindi sono parecchio lontani da una qualsiasi forma di eticità. Vivono ed agiscono secondo regole socialmente tollerate, rimanendo quindi “buoni” dal punto di vista morale della storia – in confronto ai capi delle multinazionali sono comunque dei santi! - ma non in senso assoluto, dando infatti di sé e dell’avvocatura un’immagine davvero squallida.

 

Un romanzo divertente e appassionante, un’atto d’accusa graffiante ma non tagliente che - dopo forse un inizio lento - afferra il lettore e lo guida per mano fino ai fuochi d’artificio finali.