Steven Soderbergh ci prova col thriller. E gli riesce a metà.

Raccontare un'epidemia che fa milioni di morti poteva essere, a livello registico, una bella serie di buchi nell'aqua che il cineasta statunitense evita montando (in tutti i sensi) l'angoscia con dissolvenze e dettagli hitchcockiani, inquadrature fisse e voci fuori campo. Gli riesce anche l'immersione nella realtà quotidiana di un tema così abusato, aiutato abbondantemente dalla cronaca globale che da qualche anno in qua gronda paranoia per le masse.

Contagion non riesce però ad andare oltre il bel compitino. Perde per strada buoni spunti come i nuovi media (liquidati nella vicenda dal personaggio di Jude Law, un ambiguo blogger modello Assange "de' noiartri") e la possibilità di descrivere altri contagi (politici, economici, emotivi), limitandosi a suggerire, a metà del film, che anche la paura è contagiosa. La galleria di personaggi interpretati da attori dai nomi roboanti rimangono chiusi ognuno nel proprio compartimento stagno, in quarantena anche da se stessi, lindi lindi ognuno sul proprio piedistallo.

Peccato, potreva essere almeno un buon blockbuster e non è neanche quello: al film manca il ritmo del buon thrillerone, "a tavoletta" all'inizio, col "freno a mano tirato" nel finale.