Eddie Brown, figlio di un muratore e di una New York che si appresta a diventare la capitale del mondo attraverso i tubi catodici, è un pugile che dopo anni di gavetta ha la possibilità di giocarsi il titolo. Al suo fianco ci sono Doc Carroll, il vecchio manager che vuole giocarsi la sua ultima possibilità e Frank Hughes, il giornalista che lo seguirà per tutto il mese della preparazione fino al ring del Madison Square Garden.

Il professionista non racconta solo la boxe come metafora della vita — una vita che può essere misurata in “due millimetri, o qualcosa di più o di meno”, lo spazio decisivo affinché un colpo vada a buon fine — è anche una meravigliosa e perfetta istantanea dell’America degli anni ’50, pronta a esportare i suoi sogni, senza interruzione, fino alla soglia degli Anni Zero. Un Paese in piena trasformazione; Doc la fiuta e ne è inorridito, Frank la registra e Eddie, l’uomo comune, la attraversa inconsapevole. 

W.C. Heinz, una delle migliori penne del giornalismo sportivo d’oltreoceano, si guadagnò con The professional il rispetto e l’ammirazione di Ernest Hemingway e folgorò un altro grosso calibro della letteratura statunitense, Elmore Leonard, che in quegli anni era agli esordi. Heinz, per ammissione dello stesso Leonard, è l’anello di congiunzione tra Papa e The Dutch, un maestro della costruzione dei personaggi attraverso i dialoghi. In questo senso, leggendo Il professionista si può ridare colore a un’America in bianco e nero attraverso le voci che contiene.

È il trionfo sportivo della parola contro l’immagine, un knock-out che, di questi tempi, ha un suono particolare, che si credeva dimenticato, il suono complesso e a più voci che definisce l’essere umano.