Mentre esce la seconda parte del dittico che Soderbergh ha dedicato a Che Guevara, l’esercente volenteroso cui si accennava una recensione fa, è finalmente uscito allo scoperto decidendo di mantenere in sala, assieme a questa seconda parte, anche la prima, così da riunire quello che il commercio aveva preferito dividere.

Battezzato Che – Guerriglia, questo secondo atto a differenza del primo che si lasciava guardare e basta, trabocca emozioni che appare evidente scaturiscono dalla devozione con la quale Steven Soderbergh si è buttato anima e corpo nella descrizione dell’ultima fase della vita di Che Guevara, che penetrato in Bolivia sotto false sembianze tentò, senza successo, di esportarvi il modello rivoluzionario cubano.

La descrizione del fallito tentativo si trasforma in qualcosa di più del semplice resoconto storico, diventando invece la toccante descrizione del significato ultimo di ogni azione destinata ad infrangersi contro la dura (e cruda…) realtà, in altre parole quel crepuscolo che avvolge ogni azione spentasi prima di concludersi, quel crepuscolo che dall’alto della sua dimensione archetipica mentre annuncia tutta la sua tragicità all’esterno, rimane paradossalmente celata agli ignari protagonisti che si appresta ad avvolgere.

In buona sostanza il film appare come la prova provata che nella discontinuità che lo caratterizza da sempre, ogni tanto Soderbergh azzecca il colpo d’ala capace di portare fuori un film, fortemente a rischio come lo sono in fin dei conti tutti i biopic, da quelle secche la cui pericolosità è direttamente proporzionale alla complessità del personaggio che si è scelto di indagare.

In questa seconda parte l’approccio antiretorico con il quale Soderbergh aveva nella prima iniziato a scandagliare la figura di Che Guevara si realizza in pieno diventando ancora più “sottrattivo”, quasi seguisse quella regola non scritta ma ben conosciuta secondo la quale “less is more”. Per rendersene conto è sufficiente annotarsi mentalmente l’assenza totale dei primi piani di Che Guevara con invece il proliferare di inquadrature collettive dove nulla lo distingue dal resto. Il lento avvicinarsi alla fine è scandito con un ritmo da melodramma: i contatti sempre più difficili con l’esterno, il progressivo restringimento degli spazi di manovra, i viveri che scarseggiano, l’aumento progressivo delle forze regolari, la natura che da protettrice diventa ostile e perfino la ribellione della vita animale, sotto forma del cavallo bianco sul quale Che Guevara tenta invano di salire.

Senza sbavature quindi si arriva al momento del congedo, un congedo tutto scritto in soggettiva, quella che cancellando la figura di Che Guevara preferisce lasciare in campo la cosa che alla fine conta di più, in termini cinematografici, lo sguardo cioè.

Partono i colpi e lo sguardo inizia a tremare, si abbassa, diventa opaco fino a che anche la luce sparisce…

Insomma Che – Guerriglia, è un film che riesce a costruire togliendo; racconta di una fine e nel farlo sa farsi portatore di uno sguardo di una forza tale che vale la pena di condividere.