Pare interessasse il grande Terrence Malick. È finito invece nelle mani, non sempre sicure, di Steven Soderbergh.

Che – L’argentino, biopic su Ernesto Guevara detto “Che” (Rosario, 14 giugno1928 - Higeras, Bolivia, 09 ottobre 1967), cade e risorge (siamo pur sempre nel periodo di Pasqua…) esattamente là dove cadono tutti i biopic e sempre là dove solo alcuni risorgono.

Cade nella rappresentazione, sempre sfuggente e aleatoria, di un essere realmente vissuto e che quindi “fa strano” vedere ricostruito al cinema (che si sa è finzione…), mentre risorge, perché no, per metà grazie all’audacia dell’operazione e per l’altra metà per la scelta volutamente antispettacolare della messa in scena.

Il Che di Soderberg è un rivoluzionario tra i rivoluzionari, e suoi compagni di viaggio sono, oltre alla guerriglia, l’asma, che lo affligge e il sudore che lo bagna. Sdoppiati i piani del racconto, da un lato il soggiorno newyorkese con l’intervento di Guevara all’ONU nel dicembre del ’64, dall’altro la guerriglia nella giungla cubana fino alla conquista del potere con la relativa fuga del dittatore Fulgenzio Batista, con continui salti narrativi tra un periodo e l’altro, la via antispettacolare, che per inciso non va confusa con l’assenza di stile, consegna però il film al registro delle pellicole ordinarie facendone un biopic molto convenzionale.

Ci si ferma qui perché appare chiaro come sia impossibile dare un giudizio completo su un film che concepito della lunghezza di quattro ore e passa, è stato mandato nelle sale diviso in due parti, circostanza che suscita almeno due ordini di riflessioni: la prima è che qualche esercente volenteroso si sarebbe pure potuto accollare l’onere di mandarlo per intero in un’unica soluzione, mentre la seconda riguarda il curioso patto che una situazione del genere comporta per lo spettatore. Si tratta, a vedere bene, non tanto del classico patto che prevede l’anticipazione dell’offerta/film e la conseguente attesa dello spettatore, quanto l’attesa di una seconda parte dopo averne vista una prima, il che non sembra proprio essere la stessa cosa.

I ricordi collaterali alla visione stranamente non vanno verso I diari della motocicletta (il ventitreenne Guevara in viaggio attraverso l’America Latina…) ma in direzione di Novecento di Bertolucci.

Premio come miglior interprete maschile a Benicio Del Toro al 61mo Festival di Cannes.