“Si sa quando inizia ma non quando finisce”, questa è l’espressione condensata, negli uffici di polizia, nella locuzione sette fine (o, per meglio dire: 7.00/Fine, ovvero dalle sette fino alla fine del servizio), da cui il romanzo prende titolo. L’ispettore Massimo Ravera ha appena preso servizio presso un piccolo commissariato di pubblica sicurezza, sull'altopiano carsico, vicinissimo a Trieste, quando comincia zelante la sua prima indagine, quella che si dipanerà in Sette Fine, romanzo d’esordio del triestino Andrea Ribezzi. Un’indagine dilatata geograficamente da Trieste, la città del commissariato ma anche luogo natio di Ravera, ai territori dell’ex Jugoslavia quali la Slovenia e la Croazia. Il momento è cruciale perché la vicenda è collocata nel 1994, in un periodo ancora scottante di guerre balcaniche, di lotte per l’indipendenza, di traffici illeciti che si riversano nella vicenda.

Quella del protagonista è una carriera insolita, perché proviene da una decina d’anni di lavoro presso i vigili del fuoco e si ritrova catapultato in un commissariato che, come nella realtà, è fatto anche di relazioni umane e di burocrazie, di fascicoli e di delicati rapporti di precedenze che rendono molto più complicata la convivenza in un commissariato realistico e diverso da quelli romanzati e sbandierati nei film. L’autore si muove comunque con disinvoltura, anche in virtù del fatto che è lui stesso ispettore presso la Polizia di Trieste.

Lo stile è abbastanza fluido (l’unico intervento che avrei suggerito è uno snellimento dei dialoghi o una sintesi di alcuni in discorso indiretto), i personaggi sono corposi e si rivelano soprattutto attraverso il parlato anche se non mancano importanti descrizioni, essenziali momenti paesaggistici che tradiscono l’amore dell’autore per la sua terra (e per le terre che vi si affacciano), mentre degne di nota sono le “schizzate” storiche disseminate per il testo, che catturano l’interesse del lettore senza scadere mai nella noia. Ma, sopra tutto, spicca lui, Massimo Ravera, il suo sguardo attento sulla vita, sui crimini, sulle donne, la sua ironia e la sua capacità di andare a fondo. La prima domanda che ci si pone è quanto dell’autore sia confluito nel personaggio letterario. Non son riuscita a non chiederglielo: «Sinceramente non saprei dare una risposta precisa. Qualcosa di me c'è di sicuro nel protagonista, ma ho rilevato anche tanti suoi aspetti della personalità che mi sono addirittura estranei. Mentre scrivevo, all'inizio, osservavo le scene del romanzo con gli occhi del protagonista, poi mi sono ritrovato, senza accorgermi, a vederne la prosecuzione con gli occhi del regista, quasi fosse un film.»