Andrea Ribezzi fa parte di un fenomeno che è prettamente italiano: quello dei poliziotti o ex tali e magistrati o ex tali che sono anche giallisti. Ribezzi, triestino classe 1959, è stato un poliziotto della questura della sua città, e da quella esperienza ha tratto ispirazione per i suoi gialli, solitamente ambientati nei suoi luoghi e dintorni, dando vita a un personaggio che forse gli assomiglia, l’ispettore Ravera del commissariato di Opicina, una località alta sul Carso, famosa per essere il capolinea di uno straordinario quanto antico tramway che la collega al centro di Trieste.

Ravera, l’ispettore Massimo Ravera, l’abbiamo già conosciuto, come ci ricorda l’autore nella introduzione, in due precedenti romanzi “Sette fine. La prima indagine dell’ispettore Ravera” e “Eredità blindate. L’ispettore Ravera indaga”.

Partiamo dal personaggio. Ravera è il tipico poliziotto un po’ bastian contrario, ovvero poco propenso al leccaggio dei superiori e non proprio uno stinco di santo in amore, nel senso che se capita l’occasione buona, magari con una avvenente poliziotta croata con la quale talvolta si trova a collaborare, non esita a fare le corna alla collega e morosa Valentina. Ce l’ha anche con il sostituto procuratore, Silvana Melfi, che pretende un’obbedienza alle sue direttive d’indagine e che Ravera, se ha un’opinione diversa, si guarda bene dal seguire. E poi, se si trova in ballo, anche se un’indagine non è proprio di sua competenza ma lo stuzzica per i motivi più diversi, non sta tanto a dar retta alle formalità e agli ordini superiori. Nel caso di “Ombre diffuse” quelli del vice-questore Franco Proietti, che temporaneamente – e solo perché raccomandato – sostituisce il titolare capo della squadra mobile Giuseppe Liguori. Figurati se si mette a obbedire a uno così, che dell’ambiente triestino, tra l’altro, sa poco o niente per essere uno originario dei Castelli Romani. L’unico che ascolta è il nonno paterno, Settimo, che è pure una miniera di informazioni storiche.

La vicenda narrata è ambientata nel 1995. Per la datazione sospettiamo, ma è solo un sospetto dovuto al fatto che in quell’anno l’autore era ancora in servizio, che il giallo abbia qualche legame, o comunque sia stato ispirato, da un caso con il quale egli abbia avuto a che fare.

Il caso è la morte, che si scoprirà ben presto essere un omicidio, di Wadid Madani, un ricercatore egiziano che lavorava presso il famoso Centro di Fisica Teorica di Trieste, situato in località Miramare. A trovarne il cadavere dopo alcune ore dal decesso è l’affittuaria dell’alloggio in cui Madani risiedeva. La scena del delitto è tra le più classiche di un festino finito male: bicchierini, bottiglia di whisky svuotata, mozziconi di spinelli, probabilmente pure tiri di coca, e tracce chiarissime di rapporti sessuali che tutto lascia intendere omosessuali, poi confermate dalle analisi. Era un’abitudine, quella di Madani di vedersi nei weekend con un paio di amici dopo una settimana di irreprensibile comportamento privato e sul lavoro.

La causa della morte, si saprà, è una overdose di cocaina e le indagini prendono la strada del traffico di droga. Ma via via che il nostro Ravera indaga - tra mille incomprensioni con Proietti e la Melfi, tra stop and go vari, e quasi quasi un’accusa di intesa con uno dei sospettati - il giro si allarga. Compaiono all’orizzonte un paio di croati che periodicamente scendono a Trieste, a uno dei migliori hotel cittadini, il Duchi d’Aosta, e hanno incontri vari. Tra questi anche quello con una donna che arrotonda lo stipendio concedendosi solo a certe cifre, e alla quale anche il vice-questore Proietti si accompagna per certe sue predilezioni sado-maso di cui la signora è specialista. Compariranno, nel frattempo, però, altri, più sostanziosi interessi, che verranno alla luce, grazie solo alla tigna di Ravera: lingotti d’oro e metalli nucleari come l’osmio, che forse hanno destinazioni non proprio pacifiche. E alle quali forse Wadid Madani non era proprio estraneo. Forse che la sua morte sia da addebitarsi a un caso di spionaggio? O solo a vizi più o meno occulti? O a sporchi interessi di puro guadagno? Il divertimento sta proprio nella girandola di ipotesi che emergono. Naturalmente lasciamolo scoprire al lettore che, oltre, appunto, al divertimento, avrà uno spaccato di quelli che sono i rapporti all’interno di una struttura di polizia: interessi personali, invidie, gelosie, flirt, bugie, solidarietà e, tanto per non farci mancare niente, anche la solita rivalità tra carabinieri e polizia.