L’autore del libro è anche direttore della casa editrice che lo ha pubblicato – I buoni cugini editori – e nell’iniziale “Avvertenza ai lettori” parla appunto nei panni dell’editore, spiegandoci le sue (buone, anzi buonissime) ragioni. Già varrebbe la pena di collezionare questa collana – che inaugura appunto con “Guarda come si uccide” – per la simpatia del suo nome: “Sbirri e sbirrazzi”. Non proprio un poliziesco, piuttosto un thriller che non rinuncia a uno sguardo profondo sul sociale.

Il romanzo si apre con uno scorcio del bar Kennedy – siamo nel 1974 –, locale popolato da individui pittoreschi, a partire dal tuttofare Michele Di Marco (questo nome non mi è proprio sconosciuto…) fino a Giuseppe Ingrassia, meglio noto come Don Pinuzzo, «quarantasei anni passati senza fare niente. Sempre alla porta del bar o seduto ai tavolini a chiacchierare con clienti. A fumare. A bere caffè». Uno che vive delle rendite che gli ha lasciato il padre, uno che insegue il falso sogno di diventare uomo d’onore. E la mafia lo metterà a dura prova.

Subito, però, la scena si sposta nella vecchia clinica abbandonata dei nobili Arpazza, un edificio fatiscente sul punto di crollare, dove un gruppo di ragazzini amici (tra loro, due cugini) fa il suo battesimo del fuoco: la leggenda dei fantasmi è l’ultimo dei pericoli. Ivo Tiberio Ginevra è bravissimo nel descrivere la trepidazione, le esitazioni e le sfide di quell’età di confine, quando le paure sono motivo di vergogna e l’affermazione presso i pari può diventare questione di vita e di morte. Così partono le gare di coraggio: in palio ci potrebbero essere figurine, monopattini e – sopra a tutto – la reputazione.

L’autore procede padroneggiando con disinvoltura una scrittura molto curata, che si presenta fruibile e piacevole al lettore grazie all’alternanza di azioni e dialoghi particolarissimi, sporcati di dialetto siciliano giusto per darne il sapore, ma consentendone appieno la comprensione. C’è poi un discorso subliminale sull’etica delle nostre scelte e la demistificazione di un mito – quello mafioso – accolto con entusiasmo da un certo popolo allocco. Ginevra è stato coraggioso ad addentrarsi anche in questo terreno, non facile da restituire letterariamente: lui ci è riuscito con lode, ricordandomi in alcuni passaggi Sciascia, in altri la serie televisiva di Gomorra e in altri ancora, quelli in cui mette sul palco i ragazzini, lo Stephen King di Stand by me. E alla fine delle 136 pagine, forse, vi faranno meno paura i cani feroci.