Se non ci fosse da piangere per ciò che è stata la guerra nei Balcani che tra il ’92 e il 95 ha insanguinato a suon di stragi e massacri l’ex Jugoslavia, ci sarebbe da ridere di fronte al modo in cui The Hunting Party di Richard Shepard ha la pretesa di affrontare la caccia ai criminali di guerra di quel conflitto e che a più di dieci anni dal termine li vede ancora godere di una libertà che da più parti è ritenuta fortemente sospetta.

L’ilarità che a tratti prende il sopravvento, scaturisce dall’ingenuità di fondo che contraddistingue le vicende del terzetto composto dal giornalista Simon Hunt (Richard Gere), il suo fido operatore Duck (Terrence Howard), e l’imberbe producer Benjamin (Jesse Eisenberg). Tutto ha inizio quando un bel giorno Hunt, deciso a tornare sulla cresta dell’onda dopo anni di disgrazia a seguito del licenziamento dal ricco network stanco dei suoi colpi di testa, decide di cimentarsi con la cattura de La volpe, dietro la cui figura fittizia, è facile scorgere quella reale di colui che viene umanamente ritenuto come l’ideologo della pulizia etnica messa in atto nei Balcani, cioè Radovan Karadžić.

A bordo di una scalcinata Mercedes il terzetto inizia a battere in lungo e largo l’ex Jugoslavia (le locations del film sono tutte rigorosamente vere…), fino a mettere le mani sulla preda tanto ambita la quale sarà giudicata secondo un metro di giudizio che è fin troppo facile considerare “giustizialista”.

A sconcertare e mandare a picco il film, fatte salve le buone intenzioni, sono i registri che via si affollano fino ad ingolfarsi: il dramma, la farsa, la retorica, il ridicolo della caccia all’uomo condotta dal terzetto a mani nude eppure premiata dal successo, l’arrivo dei nostri, la Volpe stessa che con tutto il rispetto sembra un Flavio Briatore senza la Gregoraci.

L’antidoto? No man’s land sul tema della guerra nei Balcani, e The Matador per capire di che pasta è fatto Shepard.