La sua è sempre stata una vita di confronti a muso duro, sia quando era in servizio nei Carabinieri, sia adesso che sbarca il lunario come investigatore privato. I lettori che ritroveranno in azione Corrado Genito nel romanzo La donna del campione (Rizzoli), conoscono già molti dei lati oscuri dell’antieroe creato da Piero Colaprico, grazie alle precedenti storie in cui era apparso (Sequestro alla milanese, Kriminal bar e Trilogia della Città di M). E così, Colaprico passando in rassegna la vita sofferta in precedenza dal suo personaggio e ci riracconta che “era stato anni all’Antisequestri, all’Antiterrorismo e aveva sparato in Medio Oriente, quando era passato al servizio mlitare e civile. Ora lavorarava saltuariamente con gli americani e gli israeliani, qualche volta con i sauditi e i siriani, non era mai stato un santo o un cavaliere senza macchia, però gli scattava, immediata, la repulsione a chinare la testa di fronte ai criminali e ai terroristi”. Certo la situazione in cui si trova coinvolto Genito in La donna del campione non è delle più semplici: deve ritrovare Elvio Bomber Wolfson, campione di Formula Uno (con un passato di ex calciatore, ex organizzatore di incontri di pugilato e un presente di corridore e autore di bestseller) che è stato rapito e per il quale è stato chiesto un riscatto miliardario. Ma il nostro investigatore non fa nulla per evitare questo intricatissimo caso, consapevole che il destino va affrontato di petto e non lasciato dietro una porta chiusa. A costringere e incastrare Corrado Genito in questa pericolosa indagine sono l’avvenente starlette Maretta Zara (moglie del rapito) e il potentissimo imprenditore Fulvio Helmut Wolfson, “magnate del mattone e presidente della Super M.” (squadra di calcio in forte ascesa nel campionato), entrambi disposti a tutto pur di recuperare il rapito. Due personaggi sotto le cui immaginarie spoglie i lettori individueranno sicuramente i possibili volti televisivi di persone che ormai da anni campeggiano sulle pagine dei giornali. Dal canto suo Genito deve fare ricorso alle sue abilità di pedinatore ma anche a quelle di ricattatore e trasformista per poter restare vivo durante le indagini. Lo vediamo così costretto a usare trucchi degni delle spie di Eric Ambler quando scopriamo che ha messo in comunicazione il suo ufficio con un altro appartamento grazie  ad opportuni lavori muratori,  il che gli permette di avere sempre una via di fuga sicura dai suoi inseguitori. E il nostro segugio non esita ad organizzare con un pugno di disperati suoi amici altri due altri sequestri che possano convincere i rapitori di Elio Wolfson a restituirlo ai suoi cari.  E se infrangere la legge può sembrare opportuno a Genito pur di riportare l’ordine nella Città di M., più esemplare è sicuramente la condotta dell’ispettore di Polizia Francesco Bagni che vediamo impegnato nelle indagini sulla misteriosa morte di una giovane prostituta ma anche tallonato da un pericolosissimo killer. Un sicario eccezionale con un passato da rapinatore che ha ancora vari conti aperti da saldare e che ritiene di avere un rapporto sepciale con il destino, non si può certo descriverlo come un perfezionista ma non si può nemmeno negare che la sua efficacia nel centrare gli obiettivi disegnati non sia mai venuta meno nel tempo e davvero singolare è il suo nome: Cosimo Sconosciuto. L’ispettore Francesco Bagni è un ottimo poliziotto, un calcolatore, un razionalista ma gli spettatori che avevano assistito quest’inverno al Teatro Verdi allo spettacolo Qui città di M scritto dallo stesso Colaprico per la regia di Serena Sinigaglia sanno che la vita di Bagni in qualche modo era già da tempo segnata. Sfregiata fin da quando un colpo di pistola sparato da un vecchio malavitoso di nome Tris lo aveva sfiorato in fronte. E accanto a Genito e Bagni (le cui vite e destini si incrociano più volte) sfilano decine e decine di volti che affollano la Città di M.:  sostituti procuratori, mafiosi, prostitute, imprenditori,  starlette televisive, coroner, piccoli e grandi criminali di periferia, poliziotti più o meno onesti. L’intento dell’autore è ancora una volta quello di mettere al centro del mirino una città come Milano da lui investigata più volte nei romanzi ma anche nelle inchieste giornalistiche. Un luogo dove tutto può accadere, dove tutti vanno di fretta, dove la criminalità si espande e si aggiorna ai tempi moderni, dove il tribunale e la prefettura divengono luoghi di incontro e scontro. Una metropoli dove tutto è aleatorio, dove bisogna conoscere per farsi riconoscere, dove bisogna comparire per non scomparire. Una città che ha ormai perso il suo vero nome per assumere quello immaginifico di Città di M. Ed è proprio intorno le idiosincrasie, le schizzofreniche abitudini e le perfide attitudini criminali del capoluogo lombardo che si diverte Piero Colaprico a tessere la trama del suo tentacolare romanzo, servendosi di una capacità di indagine sociale al vetriolo e di un’ironia doc che spesso è difficile trovare incrociate in maniera così serrata.