Per quanto Il ragazzo americano segni l’esordio sul mercato editoriale italiano dell’autore, non è assolutamente un’opera prima, come si evince dalla qualità della narrazione. Andrew Taylor è uno scrittore di vasta esperienza, un professionista serio e preparato.

ThrillerMagazine ve lo fa conoscere meglio attraverso questa intervista in esclusiva.

Benvenuto a ThrillerMagazine, Mr. Taylor. E benvenuto in Italia.

Grazie!

“Quando” e “come” è nata l’idea per Il ragazzo americano?

Circa dieci anni fa. Leggendo i racconti di Poe notai, nell’introduzione, che aveva passato cinque anni della sua infanzia in Inghilterra. Originariamente, pensai più in termini di una base per un dramma, piuttosto che di un romanzo.

Ci sono elementi autobiografici in Il ragazzo americano?

Non direttamente, ma sospetto che la maggior parte dei romanzi, di sicuro tutti i miei, abbia elementi autobiografici rifratti e distorti dalla lente della fiction.

Cosa ci racconta circa la grossa ricerca storica sul diciannovesimo secolo, di primaria importanza per un romanzo come il suo?

Non ho mai scritto un romanzo che richieda altrettanta ricerca!

Per un periodo di due anni, pressoché ogni cosa che ho letto risale a due secoli fa, oppure ha un soggetto concernente il primo periodo dell’Ottocento.

Anche leggendo la versione italiana del suo romanzo (grazie anche alla competenza del traduttore, Roldano Romanelli) si ha la consapevolezza di quanto lei abbia curato la plausibilità del linguaggio. Uno sforzo che, d’altro canto, risulta nel contempo del tutto adeguato alle necessità del narrativa moderna. Alle esigenze dell’attuale lettore. Cosa ne pensa?

Mi sono procurato un sacco di lavoro extra scegliendo la narrazione in prima persona! Penso che il linguaggio costituisca la parte più importante della ricerca perché, se si sa come le persone parlavano e scrivevano in un altro tempo e un altro luogo, si ha una certa visione di come essi pensano e di ciò che provavano.

Sono compiaciuto che il traduttore italiano sia stato capace di replicare questo aspetto in modo efficace. Ma si tratta pur sempre di narrativa storica, il risultato è un pastiche, ed è necessario tenere sempre a mente l’esigenza di renderlo leggibile al lettore moderno.

E’ più difficile lavorare su un tessuto storico, su un intreccio mistery, oppure combinare i due aspetti in modo armonico ed efficace?

Sono sempre stato affascinato dalla storia: gran parte dei miei romanzi hanno una qualche ambientazione storica. Per me, lo scenario storico e l’intrigo, il mistery, si combinano naturalmente.

Parliamo di Thomas Shield, il protagonista principale, nonché io-narrante. Un personaggio complesso, credibile. Molto… umano.

Ho preso il nome “Tom Shield” da uno dei miei antenati, che fu un poeta vittoriano (minore, e alquanto scadente).

Volevo rendere il protagonista vulnerabile, per quanto non debole, perché lo sono la maggior parte delle persone. Tanti romanzi storici nel Regno Unito presentano protagonisti maschili, molto macho, che sono implausibilmente eroici. Spero che Tom Shield si sviluppi e cresca nel corso del romanzo.

Un avvincente mistery, uno scrupoloso romanzo storico, ma anche un’intesa storia d’amore, scevra da qualsivoglia scena melensa...

Grazie. Non sapevo come si sarebbe risolta la storia d’amore sino alla fine.

Ripensandoci, non sapevo nemmeno se si sarebbe risolto qualcosa! Per me, scrivere romanzi è un modo di raccontare storie anche a me stesso. Storie che non so come finiranno, fino a che non arrivo al punto.

Posso farle i complimenti per il modo in cui ha gestito una pulsione erotica palpabile, un’emozione personale “viva”, mai semplicemente dichiarata. E alla fine sublimata in una singola, garbata, scena di sesso. Perfetto, per un romanzo come questo!

Sono molto lieto di sentirglielo dire. In origine, descrissi una scena sessuale molto più “hard”, che stava nel cuore del romanzo.

Ma mia moglie sostenne che non funzionava. Non in questo tipo di libro. Non con un narratore quale Tom Shield, un uomo sensibile. Aveva assolutamente ragione! Tagliai il capitolo e, abbastanza stranamente, l’affare di cuore pare funzionare perfettamente nel risultato. Qualche volta, meno è meglio! Ma il capitolo che ho rimosso è tuttora in agguato nell’hard disc del mio computer.

Tra gli svariati aspetti degni di nota che caratterizzano Il ragazzo americano, uno riguarda un argomento storico interessante: l’inizio della distinzione di mentalità e azione tra vecchio e nuovo ordine, dopo il Congresso di Vienna, ma anche tra Vecchio e Nuovo Mondo, con i giovanissimi Stati Uniti intenti ad insidiare l’egemonia dell’economia britannica.

Sono molto interessato alla storia, e la storia tre Europa e Stati Uniti nei primi decenni dell’esistenza degli USA è stranamente non abbastanza sviscerata. E’ un soggetto che vorrei riproporre in un altro romanzo.

Puoi comprendere il presente solo se investighi il passato.

Una curiosità: chi è la Clarissa Trant (1800-44) che cita nei ringraziamenti?

Fu una coraggiosa e bella donna, figlia di un ufficiale dell’esercito irlandese. Tenne un suo diario per la maggior parte della sua vita. Questo diario offre una straordinaria visione di come le donne del primo Ottocento veramente pensavano (e scrivevano, quando non per la pubblicazione). Ma Clarissa fu particolare: spese gran parte della sua vita viaggiando attraverso l’Europa con suo padre, parlava fluentemente sei lingue (incluso l’italiano, naturalmente), condivideva il the con i cardinali e fu persino inseguita dai pirati.

Edgar Allan Poe è un personaggio storico noto, oltre che uno degli autori “classici” più apprezzati dai lettori di tutto il mondo. In questo periodo, poi, pare essere ancor più sulla scena. Intendo dire: il suo Il ragazzo americano, L’ombra di Poe di Matthew Pearl, The death of Poe (un film indipendente)… E’ solo una coincidenza?

Pare che Il ragazzo americano abbia portato ad un ondata di materiale legato a Poe (colgo l’occasione per segnalare un altro interessante romanzo su di lui: Pale Blue Eyes, di Louis Bayard).

Penso che - sia come scrittore sia, in senso più ampio, come icona culturale – quella di Poe sia una figura così influente e ben nota a livello internazionale che è destinato ad ispirare su più fronti.

Quali sono le sue letture preferite? E quali quelle che ritiene abbiano, in qualche modo, influito sulla stesura di Il ragazzo americano? Beh, oltre a I racconti di Edgar Allan Poe, ovviamente!

Sì: ho riletto la maggior parte delle opere di Poe per scrivere il romanzo. Ho trovato una grande opportunità di materiale utile nella biografia di A. H. Quinn e in Poe Log di Thomas & Jackson, una raccolta di materiale moderno. Per gli elementi di criminologia, il Newgate Calendar (una documentazione contemporanea sui principali processi inglesi) mi è stato particolarmente utile…

Circa i libri che leggo per mio diletto, sono un grande ammiratore dei narratori inglesi del diciannovesimo secolo (in particolare Thackeray, Dickens, Trollope, Collins) e sono attualmente a tre quarti della via attraverso Marcel Proust (è un processo lento!). Ma uno dei miei romanzi favoriti sin dalla mia adolescenza è Il Gattopardo, di Tomasi di Lampedusa. E’ un romanzo perfetto sotto ogni aspetto. Oltre che una provetta narrazione storica.

La prego, ci parli un po’ degli altri suoi numerosi libri: mistery, noir, romanzi seriali, romanzi per adolescenti…

Ho scritto molti romanzi, la maggior parte dei quali con elementi gialli e affini. Il problema con il genere è che è per definizione basato su formule, il che ritengo possa alla lunga diventare noioso per il lettore (e per il sottoscritto, come autore!). Non mi sono mai sentito soddisfatto con le restrittive etichette di genere. Così ho sempre tentato costantemente di sperimentare. La Trilogia di Roth, per esempio, che sta diventando una fiction per la TV, narra la storia di un omicidio a ritroso, dalla fine all’inizio, su tre romanzi. La serie di Lydmouth è ambientata negli anni ’50, e tenta di ricostruire, attraverso l’impianto “giallo”, l’immagine di una comunità provinciale in un periodo di forti cambiamenti storici.

La domanda successiva, in effetti, sarebbe stata: quanto è difficile, ormai, scrivere un thriller veramente originale? Ma direi che mi ha sostanzialmente già risposto. Qualcosa da aggiungere in merito?

Ci sono pressioni commerciali a scrivere lo stesso tipo di libro ripetutamente. Io penso che uno scrittore dovrebbe costantemente provare a cambiare, a sperimentare.

Leggendo la sua biografia, vedo che ha fatto varie esperienze prima di approdare definitivamente alla scrittura.

Decisi di essere uno scrittore da ragazzo, ma non lo feci seriamente fino all’approssimarsi dei trent’anni. Forse è stata una buona cosa. Per scrivere, devi vivere almeno un po’.

E io ho fatto vari lavori e anche viaggiato.

Abbiamo parlato molto di Andrew Taylor, l’autore. Vogliamo aggiungere qualcosa su “Mr” Andrew Taylor, l’uomo?

Vivo con mia moglie (una fotografa) e i miei figli nella Foresta di Dean, al confine tra Inghilterra e Galles. Sono uno scrittore professionista da 25 anni, un modo di vivere precario ma molto divertente.

Siamo in chiusura di intervista. Prima dei saluti, vuole aggiungere qualcosa per presentare ai lettori di ThrillerMagazine Il ragazzo americano.

Mi sono divertito molto a scrivere il romanzo. Spero tanto che anche i lettori italiani si divertano a leggerlo.

Io l’ho letto, e mi fa piacere confermare che si tratta di un romanzo coinvolgente, con più spunti di interesse. Mi ci sono appassionato al punto da voler conoscere meglio Andrew Taylor, che ringrazio, augurando al suo romanzo il successo che merita anche dalle nostre parti.

Grazie a lei. Un saluto ai lettori di ThrillerMagazine.