Il nome di Frédéric Dard, scrittore francese (1921-2000), mi ha riportato alla memoria la serie delle inchieste del commissario Sanantonio che mi strappavano risate durante le estati della mia adolescenza. Ignoravo che, come Simenon, avesse scritto anche romanzi che esulavano dal poliziesco sanantoniano. La sua enorme opera, che comprende circa quattrocento romanzi, è in via di riscoperta e di ripubblicazione, anche in Italia

“Il montacarichi” fu stampato per la prima volta nel 1961. E’ un tipico noir, sia per le atmosfere, sia per lo scavo psicologico all’interno dei due personaggi principali: Albert e Marthe.

E’ la vigilia di Natale e Albert giunge a Parigi da Marsiglia, dove ha finito di scontare la pena per aver ucciso una donna a cui era legato sentimentalmente e che poi lo ha lasciato. Rientra in casa della madre, che nel frattempo è morta, dove rivive tanti ricordi dolci a tristi al tempo stesso. Vaga senza meta nelle strade alla periferia di Parigi fino a quando in un ristorante incontra una giovane donna accompagnata dalla figlioletta. Lui la segue, non sa bene perché, lei si fa seguire. Potrebbe cominciare così una serata di sesso fra sconosciuti, ma non è così. C’è un piano architettato fin nei minimi particolari e che arriverà a compimento con l’arrivo di un terzo personaggio.

Il romanzo si dipana intorno alla messa in scena di un delitto perfetto di cui Albert pagherà ancora una volta le conseguenze, questa volta ingiustamente.

Lo stile, asciutto ed efficacissimo, richiama quello del molto più noto Simenon: poche pennellate per descrivere uno stato d’animo o un’atmosfera. La trama noir, pur giocando su tre soli personaggi, riesce a sorprendere il lettore.

Rivedendo, dopo anni di assenza, il piccolo appartamento in cui era morta la mamma, ebbi la sensazione che mi legassero un gigantesco cappio attorno al petto e stringessero senza pietà.

Mi sedetti sulla vecchia poltrona accanto alla finestra che sceglieva sempre per rammendare, e mi guardai attorno. Il silenzio, gli odori e tutti quei vecchi oggetti erano lì ad aspettarmi. Il silenzio e gli odori mi ferivano più della carta da parati ingiallita.” (p. 9)