Palma d’Oro a Cannes nel 1974, La Conversazione di Francis Ford Coppola è spesso dimenticato, complice l’uscita del Padrino II che ne eclissò la popolarità. Inserendosi in un filone che vede in BlowUp di Antonioni (1966) il capostipite, La Conversazione è un’acuta riflessione sull’interpretazione della realtà e sulla sua elusività.

Ambientato in una spettrale San Francisco, il film si apre su una piazza affollata, visualizza il protagonista Harry Caul (Gene Hackman) e si sposta su un soggetto diverso. Ciò che sembrava la ripresa  dal mirino di un killer – il ricordo della morte di Kennedy è recente – si rivela una sofisticata forma di intercettazione. Oggetto dell’inquadratura, e dell’attenzione di Harry, è una coppia di amanti (Cindy Williams e Frederic Forrest). Intercettatore di professione, Harry deve catturare la conversazione fra i due e consegnarne il nastro al suo cliente misterioso (Robert Duvall). La registrazione viene poi perfezionata in laboratorio da Harry e il suo assistente (John Cazale). Orgoglioso del suo meticoloso lavoro al di là delle sue implicazioni, Harry rifugge dalla vita. I macchinari che utilizza sostituiscono la presenza di altri esseri umani, cancellando in parte la sua personalità. Ossessionato dalla privacy ma con un lavoro che la viola, Harry è l’emblema dell’alienazione, votato a decifrare quella porzione di mondo che passa attraverso la sua percezione. Solo, aspetto dimesso e sguardo impassibile, Harry vive alla periferia della realtà. Non ha idee politiche, desideri, né status sociale definito. I suoi contatti umani  – una donna che lo aspetta in un seminterrato, i colleghi che non lo capiscono – sono permeati dal continuo sospetto e dall’elusività. L’anonimato è essenziale nel suo lavoro, ma che accade se la vita di qualcuno viene messa a repentaglio?           

Harry comincia a vacillare durante l’ascolto della conversazione. Una frase in particolare lo ossessiona: “Ci ammazza se gliene diamo l’occasione”. È in atto una cospirazione? Quale tragedia si nasconde dietro quelle parole? Il cliente vorrebbe la consegna personale del lavoro, ma perché il suo ambiguo assistente (Harrison Ford) cerca di ottenere i nastri?

Anonimo per necessità, Harry viene travolto da una forma anonima di controllo che s’insinua nella sua vita impedendogli di rivelare ciò che sa. L’elusività delle parole e delle immagini, spie di una trama sotterranea che potrebbe comprendere, si trasforma in una minaccia alla salute mentale di Harry, confondendo la realtà e l’immaginazione. Il delitto avverrà, nonostante Harry ne sia testimone; ma l’opacità della sua analisi gli impedirà di capire l’accaduto, come se la realtà gli rigettasse contro quella stessa opacità. Il manipolatore verrà a sua volta manipolato, generando un’inquietudine tipica di certo noir introspettivo.

Scritto nel 1967 e finito di girare poco prima dello scandalo Watergate, La Conversazione riflette il clima di paranoia di quegli anni (Serpico è del 1973; Tutti gli uomini del Presidente uscirà nel 1976), attraverso l’analisi della rappresentazione del reale. Obiettivo che si rivela impossibile, sconfinando nella follia.