Il romanzo di Alessandro Vizzino “Venetia Nigra”, edito dalle Edizioni DrawUp, affonda nella migliore tradizione del romanzo popolare ottocentesco, rivisto però con l’occhio del ventunesimo secolo. Va per tanto letto come un noir ambientato nelle Venezia del 1700, l’epoca, per intenderci di pittori come il Tiepolo e il Canaletto e, seppur non veneziano ma con un suo ruolo importante nella trama del romanzo, l’epoca di Antonio Stradivari, il liutaio che avrebbe creato il violino del magico Paganini.

Nel giro di pochi mesi del 1725 si svolge la storia di un nobiluomo Nicolò Testier Gritti, un giovanotto legato di amicizia a Giorgio Aliprandi, Capitan Grande “cioè il capo del Satelizio, la squinternata polizia repubblicana agli ordini diretti del potente Consiglio dei Dieci e dei tre Inquisitori di Stato”. Insieme ne combinano delle belle. La più grossa è il giocare a carte con un ricco contadino marchigiano, cioè dello Stato Pontificio, e pelarlo di brutto. Il contadino, tale Marcello Pitacchi, ha una moglie bellissima che si chiama Elisabetta. Alla fine delle tante mani di carte, al Pitacchi, rimasto senza un soldo, Nicolò Venier chiede di pagare i suoi debiti concedendogli la moglie. L’uomo acconsente. Ma pochi giorni dopo vuole la rivincita, a casa di lui però, in quel di Ancona. Nicolò ci va, accompagnato dall’amico Giorgio e scoprirà da Elisabetta, che ormai lo ama, che l’intenzione del marito è quella di ucciderlo. Naturalmente, finirà con la fuga dei due per Venezia dove sognano, grazie ai buoni auspici di un membro dell’inquisizione, addirittura di sposarsi. A condizione però che Nicolò ricambi facendo un grosso piacere all’Inquisitore: andare a Cremona dal liutaio Stradivari a prendere un preziosissimo violino da donare al grande Antonio Vivaldi. Nicolò accetta, ci va con l’amata Elisabetta, ma da quel momento una serie di eventi si rovesciano sulla sua vita: nel corso del viaggio di ritorno a Venezia col violino, Elisabetta, che gli dormiva accanto sparisce, poi il violino viene rubato. Ne nasce un susseguirsi di ombre in fuga, coltelli, inseguimenti, sangue, come nella migliore tradizione dei romanzi d’avventura. E la tensione, non si attenuerà.

Tornato a Venezia, altre contrarietà si manifestano – tra l’altro viene ingiustamente accusato di avere messo incinta una donna alla quale lui era stato promesso sposo ma rifiutata, innamorato com’era ormai di Elisabetta – in un crescendo di mistero e azione che vede essere messa a repentaglio la vita di Nicolò e, più ancora la sua reputazione di nobiluomo, tanto che lo stesso Capitano Grande, l’amico Giorgio, gli volta le spalle o quasi. Gli unici a credere in lui sono la madre, Sara Anita Testier Gritti, e il fratello Jacopo. Il finale, naturalmente, sarà a sorpresa, ma lo lasciamo al divertimento del lettore.

A noi resta solo da aggiungere che Alessandro Vizzino sa abilmente tirare le fila della narrazione, avvolgendo il lettore nelle spire di una trama avvincente dall’inizio alla fine, trama arricchita da una sontuosa scenografia della Venezia del tempo, tale da rivelare una meticolosa ricerca dell’autore da soddisfare il lettore più esigente.