Stefano Tura è un giornalista di razza. Il suo volto è conosciuto perché, per la RAI, è da anni corrispondente da Londra. Il suo curriculum, però, è ancora più vasto, basti pensare che, tra le altre cose, ha seguito il processo per la strage del 2 agosto 1980 e la vicenda della Banda della Uno bianca. Ha firmato inchieste importanti come quelle relative a omicidi di mafia e camorra o alle vicende dei serial killer Gianfranco Stevanin e Donato Bilancia. Sono partita da questo preambolo perché il mestiere di cronista è intersecato a quello di scrittore e, in qualche modo, lo condiziona positivamente, sia per quanto riguarda la scorrevolezza di una scrittura liscia ma potente, sia per quanto riguarda i riscontri e la verosimiglianza. Non è un caso che "Tu sei il prossimo" (Fazi Editore, 2014) si ispiri infatti a un dato di cronaca: quello della scomparsa di Madeleine McCann, conosciuta come "la piccola Maddie", la bimba inglese di 4 anni sparita, nel 2007, dalla sua stanza d'albergo, mentre si trovava in vacanza con i genitori in un piccolo paese dell' Algarve, nel sud del Portogallo.

Ma partiamo dall'inizio del libro. L'esordio si delinea subito dopo il prologo, in una fresca notte d'inizio giugno d'ambientazione romagnola. Due coniugi inglesi, giunti in vacanza a Cesenatico, denunciano la scomparsa della loro figlia più grande, Leah, di cinque anni, e da questo momento si innesca la storia. Anzi, si innescano le storie, al plurale. Perché l'evento reale è solo uno spunto per dilatare le prospettive e archiettetare un romanzo corale inventato che poggia su una struttura ben salda, progettata su più piani che si intersecano man mano, con con brevi capitoli e vicende diverse che procedono in parallelo, convergendo man mano nel finale: il tutto rende il ritmo serrato e la lettura velocissima, la corposità delle storie la rende indelebile.

Tura ha costruito personaggi che si delineano sia attraverso dialoghi, che azioni, che brevi flashback sul loro vissuto. Ben riusciti, sia che si tratti di un reverendo – penso a Juggla, una specie di pastore rastafarian, prete di strada, il cui primo e unico obiettivo è quello di strappare i giovani dalle gang – sia che si tratti di poliziotti anomali come McBride, di Scotland Yard, simile a un trombettista nero americano degli anni Quaranta, in virtù di un meticciato tra la Scozia – il padre – e Trinidad – la madre, reduce da una vita non semplicissima, dal momento che ha alle spalle una convivenza con un odiato patrigno e un passato in una gang giovanile che ha dato del filo da torcere alla polizia. Poi c'è l'ispettore Alvaro Gerace, poliziotti indisciplinato che "fa incazzare regolarmente i giudici, sta sulle palle ai giornalisti e si mette sempre nei casini". Oltre alle indagini vere e proprie, si lambiscono questioni di attualità, quali ad esempio il problema delle gang giovanili a Manchester e Londra o la parte oscura della rete, la Darknet. E come tutti questi ingredianti siano stati miscelati con cura, lo capiamo dalle dichiarazioni stesse dell'autore:

«Volevo scrivere un giallo che avesse i ritmi serrati dei thriller americani, le ambientazioni cupe dei noir scandinavi, gli intrecci narrativi della tradizione anglosassone e il realismo sociale della narrativa italiana. E che fosse una calamita per tutti i lettori, non solo per gli appassionati del genere. Ci ho messo sette anni per realizzarlo, ma credo di avere centrato gli obiettivi».