«Per gli alpinisti inglesi degli anni venti e trenta del Novecento, l’Everest era molto semplicemente “la montagna nostra”». L’incipit di questo saggio è una frase che simboleggia alla perfezione lo spirito che ha permeato per decenni gli inglesi, orfani di un Impero che in passato era stato il signore del mondo e che sembravano riversare nel sogno impossibile dell’Everest la voglia di riscatto. Il mondo non è più nostro, ma se arriviamo in cima al tetto del mondo forse possiamo ancora illuderci.

Una passione cocente e un ideale “alto” (in tutti i sensi) hanno spinto alpinisti più o meno bravi, più o meno capaci, a rischiare la vita in una zona impervia e ostile: cosa li spingesse ce lo spiega in maniera impeccabile Mick Conefrey con questo suo saggio.

      

Attingendo a preziosi documenti, come i diari dei partecipanti alla missione o dei loro familiari, Conefrey costruisce una ragnatela in cui il lettore rimane intrappolato sin da subito: anche chi non ha mai salito neanche un metro di roccia sarà affascinato del mondo dell’alpinismo, grazie alla penna dell’autore.

Non è un hobby né uno sport: è il sogno atavico dell’uomo di capire il mondo, di esplorarlo e di conoscerlo. Grazie ad una scrittore scorrevole, veloce ma mai superficiale, Conefrey ci fa entrare nella mente degli esploratori che hanno compiuto un’impresa ai limiti delle possibilità umane, ma anche di quelli che non ci sono riusciti. Di quelli che si sono fermati più in basso ma hanno esplorato zone vicine: è proprio da esplorazioni meno “avventurose” che si è scoperto il modo di conquistare l’Everest.

L’Alpinismo è una filosofia di gruppo: la socialità è basilare e lo spirito di competizione è tutto negli sponsor, nei giornalisti e in tutti quelli che hanno qualcosa da guadagnarci. Conefrey sottolinea bene che gli alpinisti sono felici quando scalano: l’arrivare per primi non è fra le loro priorità. (Anche se certo arrivare secondi per un pelo non è comunque piacevole!)

     

L’uomo e la montagna sono sempre stati uniti da un filo sottile ma robusto: da sempre uno forgia l’altra, e la conquista della vetta del mondo non è un sogno solo britannico.

Everest 1953 è un saggio appassionante come un thriller - e più d’una volta ci si chiede «Chi arriverà per primo?» sebbene la risposta sia già in prima pagina! - pieno di colpi di scena e di risvolti inaspettati, di personaggi sorprendenti e di grandi eroi. È una lettura non solo piacevole, ma anche appassionante: riuscirà l’uomo a mettere piede dove non è prevista la vita umana? Riuscirà la passione a conquistare un terrirotio freddo e ostile? In questo caso sì, ma sarà a caro prezzo.