E' appena uscito per Einaudi "L’aspra stagione", libro scritto a quattro mani dallo scrittore e critico letterario Tommaso De Lorenzis e dal giornalista Mauro Favale.

Il romanzo narra di Carlo Rivolta, che visse la stagione tra gli anni '70 e gli '80.

Un giovanissimo giornalista che riportò la vita e la morte di un movimento, intuí gli anni a venire, contribuí a far nascere un grande giornale, morí di eroina.

Carlo Rivolta e l'Urbe degli anni '70. Una città che è specchio e caleidoscopio dell'intero paese: piegato dalle sue lotte intestine, corrosa, anticipo a colori di quello sbaraglio sbiadito che sarà il futuro, tuttavia ancora capace di grandi respiri. Uno di questi è il giornalismo, inteso come passione, dedizione, arte e anelito di verità.

Questo romanzo si legge col cuore in gola e con la mente attenta: ogni frase è meditata, ogni parola scansa la casualità e si sedimenta nel lettore lasciandolo sgomento, in balìa di una scrittura segmentata ma potentissima.

Per condividere la portata del romanzo, vorrei citare le parole di Wu Ming 4, riprese dal blog GIAP di Wumingfoundation www.wumingfoundation.com/giap/?p=7512:

"Ci sono certi libri che appena li hai finiti di leggere ti fanno venire voglia di andare nell’altra stanza, dove dorme tuo figlio, a vedere come sta, a mettergli una mano sulla testa. L’aspra stagione è uno di quei libri.

Per due motivi, credo.

Il primo è che fa paura. Attraverso la storia di una singola persona racconta – e lo fa magistralmente – ciò che può accadere a un intero Paese in una manciata d’anni, una decina o anche soltanto cinque, senza nemmeno il bisogno di cambiare i nomi o le facce di protagonisti e comprimari. Così ti accorgi che se magari come sono andate le cose lo sapevi, vissute o no, così non le avevi mai sentite raccontare. Non da quell’angolazione. E capisci che quel passato non è affatto passato, è soltanto il punto d’origine del presente. Una specie di peccato originale che non abbiamo mai finito di espiare. L’aspra stagione è come una cesura, il varo di una nave, la Costa Concordia sulla quale ci siamo imbarcati allora ed eccoci qui, adesso, dopo l’impatto, in attesa dei soccorsi che non arriveranno, perché chi è stato mandato a salvarci ha il compito di rivendere il metallo dello scafo, i pezzi del motore, le tappezzerie, e pure un po’ di carne e muscoli che si trovano a bordo, mentre gli altri possono pure crepare. Capitani puttanieri, cappellani di bordo e Grandammiragli, sono gli stessi di allora. Hanno settanta o ottanta anni, ma sono sempre lì. Non è vero. E’ morto Cossiga. E pure Craxi. Ma proprio nel vuoto lasciato dai loro culi pesanti si sono accomodati gli altri salvatori della patria. I ladri prima, i curatori fallimentari poi.

Il secondo motivo è che questa storia, la storia di Carlo Rivolta, omen nomen, è assolutamente archetipica. Si potrebbe leggere come si legge una tragedia di Eschilo o il Beowulf. C’è un eroe che lotta contro un fato avverso, stritolato da un dilemma che insiste a rifiutare, mentre lo spazio praticabile, lo spazio di vita, si riduce a vista d’occhio. L’eroe tragico è sempre più isolato, sempre più consapevole che il territorio brado di confine e di possibilità politica dell’esistenza, viene conquistato, militarizzato, recintato, centimetro dopo centimetro, stagione dopo stagione, termidoro dopo termidoro. E deve lottare contro i mostri, come ogni eroe che si rispetti. Deve mettere alla prova se stesso, la propria coscienza, mentre si inaugura una nuova stagione, quella della grande svendita, politica, biografica, esistenziale. Deve costringersi a raccontare tutto quanto, questa fine terrificante, la fine della guerra che non porta nessuna pace, guardare il drago negli occhi, esserne infine sopraffatto.

Dunque questa è una storia di intelligenza, di acume, e di rovina.

Di quelle che fanno venire il fiato grosso. Alla fine della quale, sarò sincero, non si può dire di conoscere davvero il protagonista (chi può dire di conoscere l’eroe?), ma un po’ di più se stessi. E se non è questo che dobbiamo pretendere da un libro – l’evocazione delle paure di un tempo ignobile, la ricerca di un assurdo equilibrio tra rischi e opportunità, tra vita e mestiere, tra azione e sopravvivenza – be’, allora forse possiamo risparmiarci di leggere. E magari di fare anche parecchie altre “inutili” cose".