Capita raramente di leggere un libro in un solo giorno, e quando succede c’è da chiedersene il motivo. Forse per la capacità di raccontare una storia con il linguaggio semplice che scorre sotto gli occhi come acqua; forse per il potere esotico di una Sardegna così vicina eppure così “straniera”, agli occhi del lettore ma soprattutto del protagonista; forse per l’efficacia di un giallo apparentemente semplice eppure dai risvolti sconvolgenti. Fatto sta che questo Sa morte secada, per essere un’opera prima, è davvero un romanzo straordinario. Non una sorpresa, a dire il vero, per chi ha apprezzato i racconti dell’autore, velati di quel fascino soprannaturale che gli sono valsi importanti affermazioni a premi come il Lovecraft, eppure così radicati nell’isola che lo ha adottato e che riesce, con l’occhio distaccato dell’ospite, a far emergere con grande nitidezza e profondità. Eppure con questo romanzo, Nicola Verde cambia marcia e trascina per oltre duecento pagine impeccabili, dal ritmo perfetto, ricche di personaggi ottimamente delineati (alcuni dei quali già conosciuti proprio nei racconti) in una storia che non smetteresti mai di leggere.

È la storia macabra di Cosimo, un bambino di quattro anni che viene ritrovato a Fardighei, morto, con il corpo scarnificato dagli animali. Un avvio agghiacciante, per chi legge, ma soprattutto per i personaggi che non si danno pace di fronte a un caso così efferato, a partire dalle sorelle Frau, madre e zia del piccolo. Il maresciallo dei carabinieri Dioguardi, catapultato in quella terra aliena, porterà avanti un’indagine insolita, costretto ogni giorno a scontrarsi con una mentalità tipica della Sardegna degli anni sessanta, dove nei piccoli paesi come Bonela il potere passava da tre o quattro personalità capaci di fare il buono e il cattivo tempo delle centinaia di pastori e casalinghe che vivevano alla giornata. Il prete, l’avvocato, il medico, il grande industriale, il bandito nascosto nei monti. Personaggi imperscrutabili, capaci di sfruttare omicidi come quelli del povero Cosimo per indirizzare le indagini verso false piste, fino a trarne vantaggi personali. Una realtà nella quale Dioguardi dovrà distinguere il vero dal falso e il possibile dall’incredibile, districarsi tra i consigli e i falsi indizi, fino a cercare la via per uscire dalla coltre del mistero portando per mano il lettore che assiste affascinato allo scorrere degli eventi.

La struttura del giallo, per essere sinceri, non presenta risvolti nuovi, né particolarmente elaborati. Non siamo di fronte a uno di quei libri in cui tutto si basa sul colpo di scena finale che ti fa saltare sulla sedia, né a una struttura studiata a tavolino per depistare in modo “scorretto” le personali indagini del lettore. Verde punta molto di più sulla plausibilità della storia, sul senso di realtà che spesso, la cronaca insegna, è capace di superare la fantasia. Tant’è che il senso dell’intreccio si lega molto di più al contesto storico e culturale, che non al tipico e asettico lavoro ingegneristico di tanti thriller americani, così universali e indipendenti da tempo e spazio. Certo è la via più difficile, quella che Verde sceglie, perché senza un’immedesimazione con la mentalità dell’entroterra sardo degli anni ’60 il lettore rischia di trovarsi smarrito e assistere con superficialità a una serie di eventi che non è in grado di comprendere a fondo. E questo è un altro grosso merito dell’autore, giacché questo rischio è scongiurato dalle prime pagine con grande abilità, tanto che non solo la lettura si fa leggera e intrigante, ma addirittura ci si sorprende a volerne di più di questa Sardegna che forse solo un non-sardo può raccontare così. In altre parole, aspettiamo con ansia un nuovo romanzo.