«La nostra storia ha inizio con la morte di Huo Yuanjia, leggendario eroe cinese [...]. Fu avvelenato, ma da chi? E Perché? Tra le molte ipotesi, questa che vi narriamo è la versione più popolare». Con queste parole la voce narrante dà inizio al film di arti marziali più famoso in Italia: “Dalla Cina con furore” (Jing wu men, 1972), che così si prefigge di narrare la leggenda che avvolge la morte di un maestro che assurse ad eroe popolare in quanto sfidava gli stranieri invasori. Il film di Lo Wei, che aprì le porte dell’Italia a Bruce Lee, come si è visto parte dal fatto avvenuto: il maestro è morto e uno dei suoi allievi vuole vederci chiaro, indagando e in seguito vendicando quello che considerava come un padre.

È una storia di vendetta, certo, ma c’è un substrato che spesso sfugge allo spettatore occidentale. I cinesi sono stati sottomessi per secoli, e l’inizio del Novecento ha solo peggiorato le cose: frotte di occidentali sono sbarcati nel Celeste Impero per sfruttarlo fino in fondo, lasciando dietro di sé una scia di sangue e sofferenza. Da non dimenticare l’odiato vicino, il Giappone, nemico storico fin nella più profonda fibra del popolo cinese: un maestro come Huo Yuanjia, che prendeva letteralmente a calci stranieri e giapponesi, non poteva che diventare una figura epica!

La vita di Huo Yuanjia sembra scritta a mo’ di sceneggiatura. Nasce intorno al 1867 nel villaggio di Xiaonanhe della provincia di Jinghai (Cina settentrionale), quarto di dieci figli di una famiglia di contadini. Il padre insegna Wushu e così il giovane Huo inizia a praticare quest’arte marziale; è però di gracile costituzione ed asmatico e il padre gli sconsiglia di continuare. La passione è tanta ed inarrestabile, così il giovane durante il giorno spia il padre insegnare Wushu, e lo pratica poi di notte.

Bruce Lee in "Dalla Cina con furore"
Bruce Lee in "Dalla Cina con furore"
Nel 1890 un campione della provincia di Henan sfida il fratello maggiore di Huo, e quando questi soccombe interviene il giovane dimostrando a tutti la sua bravura, e divenendo a tutti gli effetti allievo di suo padre. È solo la prima di tante sfide contro campioni di ogni stile e di ogni nazionalità. Fra il 1909 e il 1910 Huo è talmente famoso che può fondare la propria scuola marziale: il Jīnwŭ Tíyùhuì (Associazione marziale atletica d’élite), conosciuta poi a livello internazionale con il nome inglese Chin Woo Athletic Association.

Il 9 agosto 1910 Huo Yuanjia muore appena quarantenne. L’esame autoptico rileverà tracce di arsenico nel suo corpo, e subito si pensò che fosse stato avvelenato: era divenuto famosissimo per aver battuto ed umiliato una grande quantità di lottatori stranieri, e quindi era sulla lista nera di più d’un nemico. Però c’è anche da sottolineare come il continuo stato cagionevole di salute (nell’ultimo periodo della sua vita conobbe anche la tubercolosi) portava l’uomo ad usare continuamente la medicina tradizionale cinese, che fa uso di ossido arsenioso: la differenza quindi fra una prescrizione medica sbagliata e un omicidio è davvero esile.

Quanto di questa biografia derivi da dati storici e quanto da leggende popolari è impresa vana stabilirlo.

Nel 1972 Bruce Lee, appena diventato star ad Hong Kong, veste i panni di Chen Zhen, fedele allievo di Huo Yuanjia che non si dà pace per la dipartita del maestro, e insospettito indaga per conto suo, vendicandosi violentemente dei giapponesi che hanno avvelenato il loro pericoloso concorrente. 

Jet Li in "Fist of Legend"
Jet Li in "Fist of Legend"
Più di vent’anni dopo lo stesso ruolo viene ricoperto da Jet Li nel film “Fist of Legend” (Jing wu ying xiong, 1994, arrivato in Italia in VHS in lingua inglese sottotitolato), dove combatte gli odiati giapponesi grazie alle spettacolari coreografie di Yuen Woo-ping. Il film è solo superficialmente un remake della pellicola che rese famoso Bruce Lee, in quanto la storia viene in più punti modificata e soprattutto vige la regola che Jet Li impone al cinema di Hong Kong: lui non muore mai! È vero però che la potenza tragica del personaggio di Chen Zhen, il suo epos, sta proprio nel sacrificio finale, nell’immolarsi non solo per vendicare il maestro, ma anche per riscattare il popolo cinese e le proprie radici (che in Huo Yuanjia trovano il perfetto simbolo) contro l’umiliante sottomissione agli stranieri. Se Chen non muore, tutta la storia perde un po’ di smalto, rimanendo nient’altro che il solito film di vendetta. Jet/Chen alla fine del film fa solo finta di morire, ma in realtà sopravvive al combattimento finale ed espatria: si può immaginare un finale meno poetico?

Comunque, quando Jet Li presentò la sua “regola” a Joel Silver, decano e simbolo della cinematografia statunitense dove l’attore voleva sfondare, questi gli contrappose la sua di regola: se vuoi cercare il successo qui devi prima fare un ruolo da cattivo, e il cattivo ad Hollywood muore sempre. Così nacque “Arma letale 4” e l’effimera fama hollywoodiana di Jet Li, ma questa è un’altra storia.

Nel 2006, paradossalmente, sarà proprio Jet Li a girare una specie di prequel della vicenda: dopo essere stato Chen il vendicatore, vestirà i panni del vendicato Huo Yuanija in persona!

Con “Fearless” (Huo Yuan Jia) Jet Li è disposto anche a violare la propria “regola” pur di avere un’uscita ad effetto. Ha deciso infatti di abbandonare il cinema propriamente d’arti marziali e per il suo ultimo film non poteva scegliere soggetto migliore. (In realtà nei successivi film continuerà ad interpretare scene di combattimento, ma tecnicamente i suoi non sono più gongfupian.)

Jet Li in "Fearless"
Jet Li in "Fearless"
Il film dovrebbe essere biografico, in realtà usa tutti gli stilemi più classici della cinematografia cinese per romanzare fino all’eccesso un personaggio popolare. Il suo Huo Yuanjia non ha veramente alcuna differenza dal Wong Fei Hung (altra leggenda cinese di cui si parlerà in seguito) che ha interpretato in una fortunata serie di film, così come ha ben poche differenze da ogni personaggio interpretato da Li! Non si scompone mai se non in rare occasioni (quando cioè deve scatenare la Furia e mostrare allo spettatore un po’ di arti marziali), è sempre saggio e oculato, perde la memoria come in almeno altri tre suoi film (Tai Chi Master, C’era una volta in Cina e in America, Danny the Dog) e ricalca pedissequamente ogni ruolo interpretato precedentemente. Il film di Ronny Yu è sontuoso, dalle stupefacenti scenografie e ricchi costumi, con scene di combattimento di nuovo coreografate da Yuen Woo-ping e quindi ineccepibili: ma è un film freddo, da manuale, con rarissimi momenti intensi e quasi mai coinvolgente. La storia di Huo Yuanjia è l’epica dell’uomo solo contro il mondo: è Bruce Lee/Chen che salta in aria inutilmente contro un plotone d’esecuzione, non Jet Li/Chen che scappa alla chetichella o Jet Li/Huo che partecipa ad un torneo fra colori sgargianti ed effetti digitali.

Se la vita di Huo Yuanjia corrisponda o meno alla sua leggenda ha poca importanza: è stato ed è tuttora idolo ed ispirazione per i suoi connazionali. Se sia stato ucciso da uno straniero traditore o da una prescrizione medica sbagliata non lo si saprà mai, ma quel che rimane è che fino all’ultimo giorno della sua vita rese onore alle tradizioni (marziali e non) del suo paese.