Vendetta, tremenda vendetta… in Il quadrato della vendetta di Pieter Aspe.

Bruges. Furto in una gioielleria della potente famiglia Degroof. Furto assai strano, a dir la verità, che i gioielli non vengono portati via ma sciolti nell'acqua regia. Lasciato un messaggio criptico, praticamente un quadrato magico.

A indagare il poliziotto Pietre Van In, sopra i quaranta, da quasi venti al servizio dello stato. Pancetta che si tira davanti allo specchio, sbuffa, ringhia, impreca, fuma e beve con grande trasporto (soprattutto Duvel), buona forchetta. Matrimonio fallito alle spalle per il fascino di una giovane collega (ci rimugina spesso), amante dell'arte, biblioteca con Eco, Dante, Jung e insomma si vede che ha studiato. Testardo e controcorrente (ripensa con sospiro agli anni sessanta), in conflitto con il commissario capo De Kee che vorrebbe una indagine all'acqua calda. Sensazione di impaccio e malessere davanti alle donne, soprattutto se lasciano intravedere qualcosa di interessante. Simpatia per Hannelor Martens, sostituto procuratore, con degli "splendidi polpacci scolpiti". Chissà che…

Di mezzo c'è la politica, i Templari (la loro storia), un convento, un ospedale psichiatrico, un rapimento e…anche gli scacchi (piccolo accenno). Non manca la solita citazione di Holmes (se non c'è ci si sente male).

Una indagine alla vecchia maniera, una discreta caratterizzazione dei personaggi (ricordo Versavel che si dedica alla scrittura), una prosa tranquilla senza tanti tormentoni linguistici che non se ne può più. Soluzione complessa ma accettabile.