Joseph Wambaugh appare per la terza volta nel catalogo Einaudi (dopo I ragazzi del coro e Hollywood Station) con Il campo di cipolle, un nonfiction book - direbbero i suoi compatrioti - che soggiace alla peculiarità di questo autore: stringere in maniera ineluttabile i destini dei personaggi che vivono nelle sue pagine. Questa volta non si tratta né di personaggi di fantasia, né ispirati dalla realtà, ma di destini scritti nella vita reale. 

9 marzo 1963; due agenti del LAPD, Ian Campbell e Karl Hettinger, fermano per un controllo Jimmy Lee Smith e Gregory Ulas Powell, di professione criminali di serie Z. Le cose non vanno come devono andare e cattivi prendono in ostaggio i buoni e vanno alla deriva sulle highways di Los Angeles. I quattro finiscono in un campo di cipolle, dove le loro storie collidono irrimediabilmente: Campell viene ucciso a sangue freddo e Hettinger riesce a scappare, mentre la premiata ditta Smith&Powell si scioglie per poi ritrovarsi in tribunale. 

Da questo punto in poi, niente sarà come prima, nessun carrozziere celeste a rimettere a posto lamiere e scocche umane. Solo la ruggine del tempo a divorare le anime e a cambiare la struttura molecolare dei cervelli. 

Il libro è diviso in due: una prima parte in cui viene ritrattato ognuno dei quattro protagonisti, e una seconda, in cui vi si racconta l'estenuante iter processuale nel quale i colpevoli sfiorano, per poi evitarla definitivamente, la pena di morte. Sta tutto qui, il bug strutturale: le due parti si amalgamano appena a sufficienza, togliendo potenziale a una storia che sgorga da una fonte drammatica (e drammaturgica) viva come una ferita aperta, ancora sanguinante. 

Ma ci sono anche pagine di grande scrittura, dove si capisce perché James Ellroy (che cura l'introduzione) veneri tanto Wambaugh e lo consideri il proprio maestro: ritmi sincopati e parole come pallottole, storie che si intrecciano come radici in una palude; tutti quegli elementi che fanno de I ragazzi del coro un capolavoro e de Il campo di cipolle un buon libro.