Secondo romanzo tradotto in Italia dall'Einaudi (14 titoli finora in Italia), per Joseph Wambaugh. Il primo, I ragazzi del coro, era stato pubblicato un anno fa e fu una vera e propria sorpresa. Hollywood station potrebbe essere definito come un sequel ideale del suo antenato targato 1975.

E infatti protagonisti sono sempre degli agenti del Lapd, che fondono le loro voci scanzonate, spesso irrisorie, nettamente drammatiche in un romanzo corale dalla struttura coriacea, al quale non è proprio possibile negare un voltapagina assetato di storie.

Perché questi sbirri di storie da raccontare ne hanno tante, magari non eroiche, ma che fanno capire ancora una volta che - round and round we go - e cioè che gira e rigira, Vico permettendo, la morale è sempre quella, non fare fare la merdenda con Girella, ma che il mondo gira su se stesso e il succo pare non cambiare mai.

C'era il Vietnam? C'è l'Iraq. E i ghetti? Non mancano mai. L'iperburacrazia? Presente! Ma la palla, gira che ti gira, comincia a spelacchiarsi tutta, e il buon vecchio American dream, più che andare a farsi benedire, si sta preparando al sacramento degli infermi.

Questa Hollywood di Darth Vader e Batman di cartone non scuote come la Los Angeles 70's cantata dai Ragazzi, ma sicuramente è al passo coi tempi, e li decrive bene, forse con un po' più di macchinosità, ma sempre con feroce ironia.

Una Hollywood in cui Rossella O'Hara al tramonto può tranquillamente sospirare: "Domani è un altro giorno. Del cazzo."