É un giovane poliziotto -neanche vent’anni- quello che nel 1978 deve fare i conti con una Bologna specchio di una parte d’Italia sconquassata da lotte intestine, in cui forze centrifughe imperversano: neofascisti, Brigate Rosse, terroristi. L’impatto col capoluogo emiliano è duro, l’iniziazione avviene con scudi e manganelli ma la durezza non scalfisce l’indole del protagonista, che poi è lo scrittore. Un uomo che ha conservato un’altissima concezione del suo lavoro «di responsabilità al servizio della sicurezza della gente, di tutta la gente», che ha rifiutato di omologarsi ad un prototipo di poliziotto militarizzato, che non ha accettato, come recita il titolo, la Polvere negli occhi.

Bologna non come sfondo ma come epicentro di più narrazioni: la storia personale -i cambiamenti, le emozioni, i dubbi-, la storia d’amore che rivela desideri e palpitazioni di un ragazzo come tanti, la storia atroce di un paese, quella seria, terribile che si legge sui giornali, quella impolverata, facile da oscurare.

Il momento è il 2 agosto 1980, ore 10.25. Il protagonista è nella mensa della caserma quando sente un boato. Pensa a un terremoto, vede una nuvola grigia di fumo provenire dalla stazione. Il resto è storia, appunto, grande storia, con la veridicità di fatti incontestabili intrecciati al romanzo.

Carmelo Pecora, di origini siciliane, poliziotto con la passione per la scrittura, oggi -ma non ancora per molto perché si avvicina la pensione- ispettore capo della Polizia di Stato e dirigente della Scientifica di Forlì, si è già fatto conoscere con “9 maggio ‘78. Il giorno che assassinarono Aldo Moro e Peppino Impastato” (anche questo pubblicato con Editrice Zona), è di nuovo approdato dal ricordo biografico al fatto storico e l’ha fatto con precisi intenti, come confermano le sue stesse parole: «Da quando ho l’opportunità di incontrare delle persone, mi accorgo che si conosce poco della nostra storia recente, mi sono chiesto anch’io perché ci si ostini a non parlarne compiutamente, è come se si avesse chissà quale vergogna. Soprattutto quando incontro i giovani vedo la loro assoluta mancanza di notizie su quello che è stato un periodo cruciale per la vita di tutti noi. La risposta che mi sono dato è che nel nostro Paese si ha la tendenza a far dimenticare i fatti salienti che hanno contraddistinto il nostro recente passato. Non sta a me indicare a chi o a cosa attribuire la colpa di tutto ciò. O se una colpa c’è. Poi però non ci deve meravigliare se arriva un revisionista qualunque che, approfittando di questa assenza di notizie, tenta di capovolgere gli avvenimenti della nostra storia.»