Forse meno divertente del precedente Zoolander, sberleffo e schiaffo in faccia alla moda e ai suoi ammennicoli, umani e non, Tropic Thunder con Ben Stiller sulla plancia di comando (ma attenzione alla fotografia dell’eccelso John Toll, già con Terrence Malick in La sottile linea rossa), si colloca in ogni caso una spanna sopra alla media comica di questi ultimi tempi (con l’unica l’eccezione di Zohan – Tutte le donne vengono al pettine). L’intento è quello di parodiare vizi e vezzi della Hollywood bene, attori o produttori, in fin dei conti non fa molta differenza. Nel farlo, Stiller si serve dei rapporti, mai semplici, tra finzione e realtà, ricorrendo al metacinema, ossia il cinema che si mostra mentre si fa, che svela i meccanismi che ne stanno alla base (Effetto notte come riferimento alto ma anche Vieni avanti cretino come riferimento basso, con l’irruzione finale davanti alla cinepresa di Luciano Salce nei panni di se stesso, regista del film…).

I fatti: mentre una troupe nel bel mezzo di una giungla è impegnata nella realizzazione di un film di guerra, la realtà fa bruscamente irruzione nel finto set sotto forma di una banda di narcotrafficanti ben decisa a tenere lontana dai suoi traffici qualsiasi presenza estranea.

Da qui la storia si dipanerà attraverso il trittico rapimento, liberazione, riscatto, con una parte degli attori rapiti e poi liberati, mentre ciò che resterà dell’esperienza, cioè il film che avrebbe dovuto essere finto e che invece è diventato vero, alla fine trionferà agli Oscar (The Cameraman – Io… e la scimmia, altro riferimento alto, anche se nel film di Buster Keaton l’Oscar non veniva vinto…).

Nel raccontare tutto ciò, Stiller (coadiuvato in fase di sceneggiatura anche da Etan Cohen), tocca abbondantemente gli stilemi del genere war-movie, in particolare quello sul Vietnam (da Apocalypse Now a Platoon passando per Rambo 2 – La vendetta…) con rapide e salaci incursioni nel politicamente scorretto e nello splatter puro e duro con moncherini e visceri in bella vista (però si ride…).

Tre le star nella giungla: Ben Stiller/Tugg Speedman, Jeffa “Fat” Portnoy/Jack Black, e Kirk Lazarus, cinque volte (cinque!!) premio Oscar/Robert Downey Jr, con l’aggiunta di Nick Nolte in qualcosa che è meno di una parte e più di un cameo.

Ultima star che quasi ruba la scena a tutte è però quella di Tom Cruise nei panni, nella calvizie, nella ciccia di tale Les Grossman, produttore ferocemente orientato al successo. Trasformato dal make-up in qualcosa di molto simile ad un porcino con le gambe, il suo personaggio, ma soprattutto quello che gli si legge negli occhi, fa paura. Oltre a far paura, quando dopo aver incassato una vagonata di dollari balla tutto solo nello studio sulle note di una canzone rap, sembra il padrone del mondo…

Però rispetto al già citato Zoolander, Tropic Thunder pur con tutta la buona volontà non convince del tutto. Vero è che Stiller non si fa scrupolo nel calcare la mano anche sui vezzi attoriali (il pluri-Oscar Lazarus ne è un esempio, anche se la sua spiegazione su come vincere un Oscar interpretando la parte di un ritardato è da manuale: bisogna sì dare spazio all’handicap ma riservandosi una qualche abilità, vedi Dustin Hoffman in Rain Man e Tom Hanks in Forrest Gump …) ma al tempo stesso il suo Tropic Thunder è anche fin troppo indulgente nei riguardi di quel mondo che finge di voler crocifiggere, e che invece finisce con assolvere.

Molto riusciti in compenso i falsi promo che aprono il film e che vedono all’opera il terzetto Stiller-Black-Downey Jr ognuno nei panni del personaggio di Tropic Thunder…